Il pubblico catanese ha reso necessaria una seconda proiezione per incontrare Nanni Moretti al cineteatro Odeon. Un duplice tutto esaurito che testimonia come i siciliani non abbiano dimenticato un regista che ne ha omaggiato la terra più volte, girando Caro diario nelle isole Eolie e Palombella rossa ad Acireale. A 13 anni dall’Italietta raccontata nel film Il Caimano, Moretti torna con Santiago, Italia. Un racconto nazionale positivo, in un momento politico-sociale in cui sarebbe stato quasi naturale affondare un colpo – cinematograficamente parlando – allo Stivale. Racconta, invece, un’Italia aperta e solidale, che suona come un monito all’accoglienza. «È una ferita che ancora brucia – confessa alla platea catanese del cinema Odeon – Una storia umana. In un’Italia in cui la società ha preso una piega un po’ strana, persino raccontare una storia così diventa un gesto politico. Perciò esce nel momento giusto».
Se il riferimento attuale è ai flussi migratori in cerca di accoglienza, quello cinematografico è al popolo cileno e ai rifugiati che ritrovarono lavoro e dignità in Italia dopo il colpo di Stato del 1973. «È una bella storia italiana – la definisce il regista – una storia di cui andare fieri». Prima del più recente del 2001, infatti, c’è un altro 11 settembre passato tristemente alla storia: il golpe militare alla Repubblica del Cile del Presidente Salvador Allende, che vide precipitare non solo la sinistra al governo ma anche lo stato di diritto. Un periodo di orrore e terrore, raccontato dal regista in docufilm che mette in correlazione Italia e Cile: Paesi tanto lontani quanto simili prima del golpe per la democrazia multipartitica e quell’idea di sinistra improntata su azione e prospettiva.
«Noi ragazzi guardavamo con entusiasmo alla politica cilena ma anche a quel leader Allende, per le analogie con la nostra sinistra. C’erano anche delle differenze. In Italia, ad esempio, non ho mai visto un poeta salire sul palco del comizio di un politico, in Cile si: era Pablo Neruda a fianco di Allende», continua. «Si trattava di un governo che non aveva niente a che fare con il blocco classico comunista, da Cuba alla Cina all’Unione Sovietica: era la prima volta che la sinistra andava al potere democraticamente, con una brusca interruzione nel 1973». Un documentario intimista, nonostante i numerosi intervistati: dall’imprenditore all’artigiano, dai giornalisti agli avvocati fino ai militari.
«Ho voluto solo testimoni effettivi e veri, ma volevo ci fossero anche i cattivi. Per quanto mi riguarda, invece, ho preferito stare dietro alla macchina da presa e non invadere il fotogramma. Volevo raccontare la storia in modo semplice: spesso le persone che hanno vissuto quella realtà si commuovono e non riescono ad andare avanti, nonostante siano passati più di quarant’anni», anticipa Moretti, prima della proiezione. «Anche la chiesa fa una bella figura nel film ma non è prossima una mia conversione – ironizza – Ahimè non ho il dono della fede e a differenza di quanto affermava il regista Luis Buñuel io non ringrazio Dio per non avere ricevuto questo dono».
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