Muos, la visita embedded di 40 giornalisti Dall’Istituto di sanità via libera ai lavori

Hamburger e hot dog. Una grande bacinella con ghiaccio e bibite. «Thank you» e «You’re welcome» davanti al barbecue. Sembrerebbe una fiction americana, se la location non fosse la base di un’antenna Telecom Italia al posto di un bel prato inglese. E’ uno degli spaccati di vita quotidiana all’interno della base Usa di Niscemi, dove è in costruzione il sistema Muos e dove ieri sono stati invitati dal consolato statunitense circa 40 giornalisti locali e nazionali. «Per mostrarvi come stiamo lavorando, in totale trasparenza e collaborazione per la salute di tutti i cittadini», spiega Luca Goretti, vice capo di gabinetto del ministero della Difesa italiano, in riferimento alla preoccupazione dei niscemesi sugli effetti delle onde elettromagnetiche delle antenne militari in costruzione e di quelle già esistenti. Argomento sul quale, appena il giorno prima della visita embedded, si è pronunciato l’istituto superiore di sanità, con una relazione preliminare attesa dal 31 maggio e su cui si baserà anche il Tar siciliano – il prossimo 9 luglio – per decidere sul futuro dell’impianto al momento bloccato.

Il tour guidato, all’interno della base Nato in concessione agli Usa, si snoda tra le 44 antenne già esistenti e funzionanti: 41 ad alta frequenza, una a bassa, una a microonde e una radio. Nelle sale di comando, accanto ai box che trasmettono il segnale da Washington alle truppe nel resto del mondo, spunta anche una lavatrice e diversi attrezzi da palestra. Si guarda, si commenta, ci si sorride, fino all’arrivo al vero cuore della visita: il sistema di antenne satellitari Muos. A cui, per completare il lavoro, manca solo l’installazione delle parabole. «Lo stop ci costa 50mila dollari al giorno – spiegano i funzionari Usa – Compresa la penale dovuta alla ditta che dovrebbe provvedere al lancio del satellite».

Spese che non inteneriscono la popolazione. Quando il grande pullman militare con a bordo i giornalisti attraversa il centro di Niscemi, suscita stupore. E, tra i tanti che salutano, c’è chi manda un bacio e chi mostra il terzo dito. Ma i più arrabbiati sono di certo gli attivisti No Muos del presidio di contrada Ulmo, vicino all’ingresso della base. «Scendete! Vogliamo parlare con voi», urlano ai giornalisti alla fine della visita. Un ragazzo si getta sotto il bus per costringerlo a fermarsi. «Fermo, fermo!», urlano di rimando i cronisti all’autista. Ma in pochi chiedono di poter scendere a parlare con i manifestanti. Un blocco che dura fino a quando due di loro non vengono invitati a salire, insieme al docente del Politecnico di Torino e consulente di parte del Comune di Niscemi Massimo Coraddu. Espongono dubbi, paure, la sensazione di non essere padroni della propria terra. E raccontano dei tanti casi di tumore in paese, imputabili, secondo loro, proprio alle antenne militari.

Un argomento che è stato anche al centro dell’incontro all’interno della base. «Ciascuna delle due antenne del Muos raggiunge al massimo i 200 watt», spiega il professore John Oetting, studioso di ingegneria elettronica ma anche project manager del Muos. Circa un sesto di un microonde a cucina e comunque meno di un traliccio di rete per i cellulari. «Ma i dati non combaciano con quelli del progetto Muos approvato dalla Regione Sicilia – sottolinea più tardi Coraddu – Lì è indicata una potenza massima di 1600 watt». Una bella differenza, liquidata come «un errore» da Oetting. Tra le tante, insistenti e non sempre tenere domande dei cronisti, sarà questa l’unica a restare senza una vera risposta.

Un nodo cruciale, se si considera che proprio sui dati elaborati da Oetting si è basato l’istituto superiore di sanità per elaborare i risultati delle tanto attese analisi che decideranno il futuro del Muos. E che, almeno nella relazione preliminare, danno il via libera al completamento dei lavori. Per la relazione completa, comprensiva delle controdeduzioni di Coraddu e del collega Massimo Zucchetti, sembra si dovrà aspettare almeno la prossima settimana. Ma i funzionari della Difesa di Usa e Italia si dicono fiduciosi. In nome della «salda amicizia e alleanza condivisa negli interessi mondiali» delle due nazioni e della «certezza che tutto sia stato fatto a norma e senza rischi». «Fatevelo dire da me, che conosco bene l’impianto delle Hawaii – commenta un funzionario della difesa statunitense – Mio cugino abita a un chilometro dalla antenne».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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