Cronaca

L’ennesimo mistero irrisolto di Messina Denaro: il processo Araba fenice e la presunta amicizia col boss Giuliano

Matteo Messina Denaro è morto. E anche Salvatore Giuliano non sta molto bene. Quando le condizioni di salute dell’ormai ex superlatitante di Cosa nostra erano già peggiorate, l’avvocato Giuseppe Gurrieri, legale difensore del boss di Pachino, aveva sperato potesse vivere a lungo e in salute. Almeno quanto sarebbe bastato a rispondere a un’unica domanda: «Conosce ed è amico di Salvatore Giuliano?». Il presunto rapporto tra il capomafia dell’omonimo clan della zona più a sud del Siracusano e il padrino di Castelvetrano era venuto fuori in una conversazione intercettata in cui a parlare era il braccio destro di Giuliano, Giuseppe Vizzini. Un dialogo ritenuto «di smisurata rilevanza» nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado di Giuliano – per associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso – «perché fornisce l’immagine della sua caratura e della sua forza». Una ricostruzione su cui il legale che lo difende, però, continua a nutrire più di qualche dubbio e a svelarlo non potrà più essere Messina Denaro.

Nel frattempo, nel corso dell’ultima udienza del processo d’Appello Araba Fenice, la posizione di Giuliano, al momento detenuto nel carcere di Sassari, in Sardegna, è stata stralciata. Ed è stato l’avvocato Gurrieri a chiedere il rinvio perché il suo assistito era «impossibilitato a comparire per motivi di salute contingenti». Un’istanza che è stata accolta con un rinvio a fine novembre per capire quale sarà allora il suo stato di salute. Per gli altri imputati nello stesso procedimento, invece, è iniziata la requisitoria da parte del pubblico ministero. Ma ciò che non si avrà mai è la conferma o la smentita da parte di Matteo Messina Denaro di questo contatto indiretto (perché all’epoca era ancora latitante) che avrebbe avuto con Giuliano. Eppure, l’incontro richiesto dall’avvocato era stato autorizzato dalla magistrata di sorveglianza de L’Aquila Chiara Sapia. Un’autorizzazione, per motivi difensivi, che è arrivata il 15 settembre (dieci giorni prima della morte di Messina Denaro), nonostante i pareri contrari della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta e di Palermo, che hanno opposto il regime di 41bis a cui era sottoposto Messina Denaro ma anche «l’assenza di contatti tra l’organizzazione mafiosa di appartenenza dell’imputato (Giuliano, ndr) e Cosa nostra». Una motivazione che, almeno in parte, risponderebbe già sul punto per cui l’avvocato teneva così tanto a quell’incontro con il boss di Castelvetrano. Tanto da aspettare ore davanti al carcere, quando però Messina Denaro era già stato trasferito in ospedale.

«Le condizioni cliniche del paziente sono di terminalità di malattia – si legge nel certificato medico rilasciato dal direttore del reparto di Rianimazione dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila – È allettato e in trattamento con farmaci sedativi e oppioidi forti. Non è, pertanto, in condizioni di sostenere un colloquio investigativo». Contrari erano stati anche i pareri della legale d’ufficio Adriana Vella e dell’avvocata nipote del boss Lorenza Guttadauro. «Si ritiene che non sia rilevante – si legge nelle motivazioni del rigetto dell’istanza – L’intercettazione appare controversa e risulta smentita in sede dibattimentale». Eppure, secondo la magistrata che aveva autorizzato il colloquio, il 41bis serve a impedire di «intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale e svolgere un ruolo attivo», non escludendo la possibilità di comunicazioni con avvocati altrui: i quali, sebbene possano comunque essere «veicolo di comunicazioni non consentite», svolgono un ruolo di «tutela dei diritti dei detenuti». In questo caso, di Salvatore Giuliano. L’avvocato, peraltro, aveva acconsentito alla presenza di agenti di polizia giudiziaria o personale dell’amministrazione penitenziaria.

Il tutto per fare chiarezza su una conversazione intercettata a luglio del 2015, in cui si sente il braccio destro di Giuliano, Vizzini, che parla con un certo zio Nino nella sua auto: «Tutto l’asse si è spostato a Pachino ormai […] hai visto che sono venute persone di Messina Denaro […] Minchia, mai l’ho visto a Ture (Giuliano, ndr) così. È venuta gente da Trapani per un fatto di una storia di Trapani, e cose…dice…trasporti…cose nella zona di Palermo». Nella ricostruzione di Vizzini, le persone arrivate a Pachino sarebbero state trattate in malo modo da Giuliano. «Perché lui lo sa come funziona…”E allora se voi state venendo con questa cosa…non è nel dna mio e di Messina Denaro…allora se lui mi sta mettendo così… Allora ti dico che me la suca pure Messina Denaro…qui comandiamo noi!…e mandateglielo a dire e poi mi portate la risposta. State venendo a nome di un amico mio“». Frasi, quelle riportate da Vizzini, pronunciate a voce bassa e con il volume della radio alto, in cui si lascia intendere che Giuliano e Messina Denaro non solo si conoscerebbero ma sarebbero addirittura amici. Un rapporto che potrebbe venire seppellito dalla storia.

Marta Silvestre

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