«D’Ali’ ha certamente assunto degli impegni seri e concreti a favore dell’associazione mafiosa e ciò lo si può desumere dalla sua già stabile, affidabile, comprovata e ventennale disponibilità a spendersi in favore di Cosa nostra». Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì è stato recentemente condannato a sei anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il politico, che è stato anche sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2005, secondo i giudici avrebbe «intrattenuto relazioni con l’associazione mafiosa», almeno fino al 2006 agevolando la mafia di Matteo Messina Denaro, il latitante tuttora ricercato. Il provvedimento del collegio presieduto dal giudice Antonio Napoli (consigliere Fabrizio Anfuso, consigliere relatore Gaetano Scaduti) è stato depositato in cancelleria in questi giorni. Il processo d’Appello bis era iniziato dopo l’annullamento con rinvio della Corte di Cassazione della precedente sentenza di assoluzione, in cui era stato prescritto per i fatti precedenti al 1994, con un metodo giudicato come «una cesura illogica» tra i due periodi.
Il nuovo processo ha dunque sostenuto che «D’Ali’ ha concluso nel 2001 (dopo una invero già ventennale disponibilità verso il sodalizio mafioso) un patto (l’ennesimo) politico/mafioso con Cosa nostra in forza del quale il sodalizio gli ha garantito l’appoggio elettorale che ha consentito all’imputato di essere nuovamente eletto al Senato (elezione che poi ha costituito da viatico per l’acquisizione dell’incarico di sottosegretario al ministero dell’Interno)». Così si legge nella sentenza, rispetto all’accordo che sarebbe proseguito fino al 2006, anno in cui si concluse la legislatura.
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