«E non ha avuto la faccia di dirgli: “Lo zio Ciccio me lo ha detto di farlo”? Io, che non so neanche dov’è Castelbuono?». Seduto all’ombra degli ulivi di un fondo agricolo a San Michele di Ganzaria (in provincia di Catania), il boss Ciccio La Rocca non si dà pace. È la fine di novembre del 2002 e il capomafia della famiglia di Caltagirone si trova insieme ad Alfio Mirabile, il nipote di questi Giuseppe – oggi collaboratore di giustizia – e i referenti della Calcestruzzi spa, società che con il benestare di Cosa nostra si stava occupando delle forniture di calcestruzzo nei cantieri dell’autostrada Messina-Palermo. Questo, perlomeno, fino a quando dalle parti di Castelbuono non era stato realizzato un impianto che dichiaratamente aveva mirato non solo a fare concorrenza, ma a soppiantare la stessa impresa. Con quale mossa? Semplice: accreditarsi tramite il nome del boss La Rocca.
L’impianto era della Nebrodi Calcestruzzi, una delle società di Antonino Smiriglia. L’imprenditore che, nonostante non sia mai stato condannato per associazione mafiosa, è ritenuto più che contiguo con i clan, in particolar modo con la famiglia di Mistretta, un tempo guidata dai fratelli Sebastiano e Pietro Rampulla, il primo morto nel 2010 e il secondo conosciuto per essere stato l’artificiere della strage di Capaci. A Smiriglia nei giorni scorsi è stato confiscato un patrimonio da quattro milioni e mezzo.
La vicenda di Castelbuono – dove a sostenere gli interessi di Smiriglia sarebbe stato, con il via libera dei Rampulla, il capizzotto Camillio Testa – è soltanto uno dei tanti momenti della storia imprenditoriale di Smiriglia citati nel decreto del tribunale di Messina. Circa un anno dopo i fatti di Castelbuono, gli interessi del 55enne imprenditore nativo di Sant’Agata di Militello finiscono anche al centro di un summit organizzato ad Aidone, in un casale di proprietà di Mario Giuseppe Scinardo, al quale negli scorsi anni è stato confiscato un patrimonio da centinaia di milioni.
In questo caso, in ballo c’erano i lavori per la Santo Stefano di Camastra-Gela, altrimenti conosciuta come Nord-Sud e ancora oggi ferma. Stando alla ricostruzione dei giudici, che si sono rifatti anche alle rivelazioni del pentito Carmelo Bisognano, proprio quest’ultimo aveva avanzato delle perplessità in merito alla solidità economica della Nebrodi Calcestruzzi e, così, si era deciso di chiedere un confronto diretto con gli imprenditori per conoscere le loro intenzioni e l’opportunità di inserire l’impresa tra quelle destinate a occuparsi delle forniture e del movimento terra. E nonostante Bisognano, in un primo tempo, abbia indicato come presente Carlo Smiriglia e soltanto in un secondo interrogatorio il fratello Antonino – mentre è certo l’arrivo ad Aidone di un’auto intestata alla ditta -, per i giudici cambia poco: in ogni caso sarebbe confermato l’intreccio tra la famiglia dell’imprenditore e le cosche mafiose.
E se nel 2004 Pietro Iudicello, cugino dei Rampulla, si muove per creare le condizioni affinché l’impresa di Smiriglia acquisisca un’autorizzazione necessaria a svolgere un determinato tipo di lavori pubblici, a risultare interessanti sono le parole messe a verbale da un imprenditore a febbraio dello stesso anno. L’uomo racconta che, pochi mesi prima, aveva perso la possibilità di rifornire di calcestruzzo due colossi delle costruzioni industriali che in quel momento operavano nel Messinese: la Inc di Torino e la Bonatti di Parma. In entrambi i casi, infatti, le società avevano iniziato a prendere il calcestruzzo da Smiriglia.
«Io non voglio trovarmi schiacciato tra un rullo e una finitrice», sarebbe stata la giustificazione di uno dei responsabili della società parmense davanti alla decisione di cambiare fornitore. Anche in questa circostanza – nonostante da una parte la difesa di Smiriglia abbia richiamato accordi di natura amicale e il denunciante abbia ritrattato la propria versione – per il tribunale sarebbe accertata la contiguità del 54enne con la mafia. D’altra parte, a fare riferimento alle protezioni di cui avrebbe goduto Smiriglia è anche un imprenditore condannato per essere aderente al clan dei Batanesi. L’uomo è tra quelli che sarebbero stati estromessi dal settore delle forniture, ad appannaggio di Smiriglia, per dei lavori di posa dei cavi per la fibra ottica.
L’elenco degli incroci pericolosi è lungo e comprende anche le vicende legate alla società Pietra Dorata, di cui Smiriglia ha detenuto il 42 per cento delle quote. L’impresa, a inizio anni Duemila, acquisisce un ramo d’azienda della Dorata di Sicilia, società impegnata nell’estrazione di materiali da una cava a Mistretta. Attorno a queste attività si sarebbero concentrati gli interessi di diverse famiglie mafiose del versante orientale dell’Isola: non solo quella di Mistretta, ma anche quelle catanesi. Dai Santapaola ai Mazzei, dai Puntina ai Cappello. Il tutto attraverso prestanome che avrebbero fatto ingresso nella società. A mettere le mani sull’impresa, per interposta persona, sarebbe stato anche Giorgio Cannizzaro, longa manus dei Santapaola a Roma.
Ricostruire il patrimonio a disposizione di Smiriglia per gli inquirenti è stato parecchio difficile. A complicare il lavoro, oltre alle azioni che sarebbero state messe in atto per dissimulare la dismissione dei beni a favore di prestanomi, ha contribuito anche la quasi totale assenza di documentazione contabile. A tal proposito, nel decreto si cita la denuncia fatta a gennaio 2007 da Angelo Smiriglia, fratello di Antonino, agli agenti del commissariato di polizia di Palmi a Reggio Calabria: l’uomo dichiarò che qualcuno aveva aperto la sua auto e rubato i registri contabili che dovevano essere consegnati a un consulente romano.
Infine, va ricordato che i fratelli Smiriglia da quasi tre lustri sono riusciti a inserirsi anche nel mercato internazionale. Nello specifico, in Nigeria. Nel Paese africano, infatti, hanno acquisito quote delle società Cartil Ltd, Molinari Ltd e Pontello Ltd, attive nel settore delle commesse pubbliche per lavori edilizi e stradali. Riguardo alle tre imprese, che non sono destinatarie del decreto di confisca, il tribunale scrive: «Non è chiaro con quali risorse finanziarie gli Smiriglia abbiano provveduto alla costituzione delle società e all’avvio in territorio nigeriano di attività imprenditoriali che, per stessa ammissione, sono di rilevante importanza».
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