Un controllo «pervasivo, capillare, costante e illecito». Sarebbe quello esercitato dalla mafia nel business dei pascoli nei territori di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agigento. Il dato è contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare notificata a cinque persone, tra cui il boss Pietro Campo. Volto noto di Cosa nostra locale, già dietro le sbarre per una condanna a 14 anni, il 72enne è ritenuto tra coloro che avrebbero goduto della fiducia di Matteo Messina Denaro durante la latitanza dell’ex primula rossa. «Il territorio del comprensorio di Santa Margherita – si legge nei documenti – è suddiviso tra i pastori che, da epoca risalente, esercitano il pascolo senza corrispondere i canoni ai titolari». Come se non bastasse avrebbero il predominio sul fieno attraverso un metodo di raccolta gratuito. Deciderebbero anche chi può esercitare la pastorizia e impedirebbero anche l’apertura di diverse aziende agricole. I vincoli sarebbero anche quelli che riguardano gli allevatori. Ai quali è impedito di esercitare autonomi rapporti con i proprietari dei terreni.
Insieme a Campo è finito nei guai il genero Piero Guzzardo e il cugino e allevatore di ovini Pasquale Ciaccio. Decisive, nell’ambito della ricostruzione degli inquirenti, sono state le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: l’ex reggente del mandamento mafioso di Sambuca di Sicilia, Calogero Rizzuto, e l’esponente della famiglia mafiosa di Menfi Vito Bucceri. «Un nuovo pastore può inserirsi solo se gli danno il permesso e se non disturba nessuno», racconto ai magistrati Rizzuto in un interrogatorio dell’8 settembre 2022. «Deve andare da chi gestisce la famiglia mafiosa e chiedere il permesso. Non devono essere disturbati pure gli altri pastori già presenti, anche se non appartengono alla famiglia mafiosa». Ulteriori aneddoti sono quelli raccontati dai magistrati dal collaboratore Bucceri: «Funziona che chi ha le pecore va a parlare con il proprietario del terreno per chiedere di pascolare – si legge in un verbale – e se gli dicono di sì gli viene regalato un formaggio e tra di loro si mettono d’accordo bonariamente. Se il proprietario del terreno dice di no gli tagliano le viti […] l’associazione mafiosa è come legge sul territorio». «Mai nessuno si ribella – continua Bucceri nel suo racconto ai magistrati – si fanno solo denunce contro ignoti. I proprietari dei terreni non si lamentano, anche perché hanno paura e magari piangono dietro».
Nella gestione però i legami familiari non sarebbero stati garanzia di tranquillità. Uno spartiacque indicato dagli inquirenti è quello del 10 luglio 2018. Giorno in cui venne scarcerato Pasquale Ciaccio. Da quel momento si sarebbe determinata una frizione tra l’allevatore e il cugino detenuto Pietro Campo. Oggetto del contendere le invasioni di terreno perpetrare da Ciaccio con il proprio gregge di pecore. Due anni dopo, il 22 dicembre 2020, tra i due gruppi arriva la pacificazione. Sancita con una visita di Campo all’ovile del cugino e con la consegna di un agnello.
Tre le contestazione che vengono mosse a vario titolo agli indagati ci sono anche degli episodi di estorsione. In un sistema che, secondo i magistrati, si sarebbe basato sull’esistenza di un cartello realizzato per la gestione dei terreni agricoli. Campo, insieme al genero Guzzardo, avrebbero esercitato delle pressioni per costringere delle persone a rescindere degli accordi, già conclusi, per la concessione in affitto di alcuni appezzamenti di terreno da adibire a coltivazione di meloni. «Fossero paesani tutto buono e benedetto, devono mangiare pure – diceva Guzzardo in un dialogo intercettato con un uomo che aveva fatto da intermediario per l’affitto dei terreni – ma se devono prendere a quelli di fuori per portarceli dentro perché là non ce ne danno, secondo me non è nemmeno corretto». Qualche giorno dopo la questione sembrava essere risolta. «Il mulunaro mi ha detto “Zia Nardo, veda che non vogliamo pestare i piedi a nessuno, perché vogliamo stare tranquilli”».
Oltre alle cinque persone sottoposte a misura cautelare tra gli indagati compare anche il nome di Melchiorre Ferraro, ex assessore all’Agricoltura a Santa Margherita di Belice. Ferraro è un volto noto della zona soprattutto grazie all’azienda di famiglia, impegnata da quattro generazioni nella produzione di grani antichi siciliani. L’ex politico, secondo gli inquirenti, sarebbe stato un «uomo di fiducia» di Giovanni Campo, figlio del boss Pietro. Nelle carte dell’inchiesta vengono indicati numerosi contatti telefonici per almeno sette anni, dal 2014 al 2021. Il 9 luglio 2018 Ferraro avrebbe segnalato a Campo un terreno in cui avrebbe potuto lavorare, ricevendo in cambio una decina di balle di fieno. «Qua siamo a disposizione – diceva – per quello che si può siamo a disposizione». Altro episodio è quello che riguarderebbe dei lavori da eseguire in un terreno agricolo. Operazioni già effettuate in passato da Ferraro e che lo stesso avrebbe mal digerito quando l’incarico venne dato a un altro imprenditore. Lo stesso, stando alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato fermato e minacciato dal suo contendente con frasi come «a chi toglie il pane ai bambini levaci la vita».
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