Luigi Busà, tre titoli del mondo e allenamenti ad Avola Il karateka: «Sogno le Olimpiadi e mi emoziono ancora»

Ha vinto tutto quello che poteva vincere. E parecchie cose le ha ri-vinte. Il medagliere di Luigi Busà, 28enne di Avola, è quello di un grande campione. Un successo dopo l’altro, all’elenco dei suoi ori ne manca soltanto uno: quello olimpico. Ma la sua disciplina, il karate, alle Olimpiadi ancora non c’è. Per questo, intanto, si è dovuto accontentare del secondo posto sul podio alla prima edizione dei Giochi europei, che si conclude oggi a Baku, in Azerbaijan. In finale contro l’eterno rivale, Rafael Aghayev, che giocava in casa. «Era la conclusione della sua carriera, a casa sua, con il suo pubblico – dice Busà – Io ho fatto un buon lavoro, non mi sento di rimproverarmi nulla. L’oro sarebbe stato perfetto, ma comunque ho vinto una medaglia che rimarrà nella storia: la prima medaglia italiana alla prima edizione dei Giochi europei». Di 28 anni che ha, 24 li ha passati sul tatami. In palestra con suo padre, suo primo insegnante ed ex campione italiano degli assoluti: Nello Busà

«Sono il terzo di quattro figli, e l’unico maschio». Le sue sorelle fanno tutte karate anche loro. Solo che una ha scelto la carriera da avvocata, e delle altre due, invece, una è andata in ritiro con la nazionale e l’altra, la più piccola, pensa già al suo medagliere. «Vedevo i miei genitori sempre in palestra e avevo voglia di andare anche io – racconta Luigi Busà – Ma fisicamente non ero particolarmente strutturato. Anzi, ero piuttosto cicciottello. Mia mamma cucina benissimo», sorride. La svolta è arrivata quando lui aveva 14 anni e, con 16 chili da perdere, ha vinto i campionati italiani giovanili. «Con quelle caratteristiche nessuno avrebbe scommesso su di me, però mio padre ci credeva», ricorda. E ci hanno creduto anche i talent scout della nazionale. «Avrò perso quel peso in cinque mesi. Con allenamento, costanza e una giusta alimentazione – dice – Non ho fatto come sarebbe stato facile, facendo una dieta da solo, ma mi sono affidato a un professionista bravo».

I risultati il karateka ha cominciato a raccoglierli nel 2006, appena maggiorenne. E con il diploma ancora da prendere. «Mio padre, che è il mio allenatore da sempre, ha messo lo studio al primo posto – afferma – Mi minacciava: mi diceva che se non andavo bene a scuola lui non continuava ad allenarmi». Una fatica che, col senno di poi, «è stata un’altra grande soddisfazione». Soprattutto nell’anno della Maturità. Quando «mi ha preso l’esercito». E quando è entrato in due squadre nazionali: quella giovanile e quella senior. Oro agli Europei juniores, bronzo agli Europei senior, oro ai Mondiali di Tampere, oro ai campionati italiani a Torino. Appena 18enne, il suo palmarès è quasi tutto giallo.

«Ho vinto tre volte i mondiali e sei volte gli europei, ma ogni volta che mi mettono una medaglia al collo provo la stessa emozione della prima. La stessa gioia per la vittoria, la stessa eccitazione per la gara. Non ci fai mai l’abitudine – sospira – O meglio: gli altri non lo so, io non mi abituerò mai». È con questa passione che racconta, poi, i giochi di Baku: «Si respirava un’aria olimpica. C’erano tutti gli sport, la città era organizzatissima, la copertura mediatica totale – spiega il campione – Secondo i dati di Sky, il karate è stato lo sport più seguito, abbiamo fatto boom di ascolti». Un elemento, questo della popolarità, che potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’ingresso del karate tra gli sport olimpici a partire da Tokyo 2020: «Siamo candidati. Non so se alla fine riusciremo a farcela, però a Baku abbiamo fatto bella figura». A sostenere la candidatura della disciplina alle Olimpiadi è la Fijlkam, la Federazione italiana judo, lotta, karate e arti marziali.

«Non sono io che devo dire che sono bravo, sono i titoli che devono parlare per me», si schernisce il karateka, che dal 2008 è nella squadra del Corpo forestale. «Nel 2011 ho lasciato Avola e mi sono trasferito a Roma. Ma almeno 20 giorni prima di ogni gara importante torno a casa e mi faccio allenare da mio padre. Lui è uno dei maestri più forti e competenti d’Italia». È stato lui a insegnargli che «dopo ogni traguardo bisogna sempre guardare avanti. Tanto sognare è gratis». Il suo sogno, adesso, è riuscire ad arrivare a Tokyo: «Se dovessimo farcela, non voglio andare là per fare una passeggiata. Voglio andare là per vincere. Anche perché potrebbe far fare il salto di qualità a questo sport». Un po’ come la popolarità acquisita dalla boxe dopo le vittorie di Clemente Russo. Anche se da oggi al 2020 di anni ne mancano troppi per fare programmi. 

«Su quello che voglio fare da grande cambio idea quasi ogni giorno. Quel che è certo è che i sacrifici che ha fatto mio padre io forse non saprei farli». L’obiettivo, invece, potrebbe essere allenare gli adulti: «Quale medagliato non vorrebbe, un giorno, allenare la sua nazionale? A me piacerebbe tantissimo. E se non potrà accadere subito, però, penso che sarebbe bello fare anche un’esperienza all’estero. Magari prendere in mano una nazionale che non ha avuto tanti successi e portarla in alto. Sarebbe una soddisfazione anche quella».

Luisa Santangelo

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