Diritto all’aborto, parità sul lavoro e rifiuto della violenza sulle donne. Sono alcuni dei motivi per cui ieri cinquecento persone – tra donne e uomini – sono scese in piazza Università, a Catania, come in altri Paesi del mondo. Un corteo fuxia e nero – organizzato dal comitato Non una di meno di cui fanno parte singoli e realtà sociali come il centro antiviolenza Thamaia, Stefania Arcara presidente di Genus – centro studi di Genere dell’università di Catania, Queers, Chiesa Battista e Valdese, Rivolta Pagina, Officina Rebelde, Gammazita e tante altre – per riappropriarsi di una giornata, quella dell’8 marzo. «Ci siamo riprese questa data lottando e ridando significato politico a una giornata che non era più di lotta, ma ridotta a festa – spiega Elena, 26 anni, componente del collettivo femminista Rivolta Pagina -. Un concetto che in questo giorno rifiutiamo con tanto di auguri e mimose, trasformandolo in una vera e propria lotta».
La forza del corteo per Elena sta nel fatto che «si ibridano generazioni politiche e anagrafiche diverse, che dialogano su femminismi vecchi e nuovi». Non si trovano del tutto d’accordo due manifestanti, che lamentano la poca affluenza di giovani. «Una mancanza di consapevolezza spaventosa – dicono – anche da parte delle nostre figlie, cresciute in una società in cui certi valori non esistono più». «Sono pochi i nostri coetanei che riescono a mettersi nei panni delle ragazze e osservare il proprio comportamento dall’esterno rendendosi conto che è sbagliato», confermano Gabriele e Manuele, 23 anni, che attribuiscono la responsabilità anche alla poca sensibilizzazione sui social network da parte dei giovani. «Abbiamo lavorato al coinvolgimento dei e delle giovani e fatto alcune assemblee preparatorie a cui abbiamo invitato gli studenti delle superiori – spiega Ludovica Intelisano, che con i colleghi rappresenta l’anima giovane del corteo – Non abbiamo voluto palchi e schermi comunali perché la manifestazione si fa in strada, coinvolgendo i cittadini».
E ne sono arrivati tanti e tante in piazza Dante, come Valentina, che si è presentata spinta da una sensazione di oppressione e da un percorso personale. «Mi sembra l’occasione giusta per condividere con gli altri le proprie esperienze e aprirsi per capire che non si è soli». Con lei l’amica Concetta, studentessa di Lettere classiche, che a poche ore da un esame sceglie di scioperare invece di ripassare. «Non si può più rimanere in silenzio, uno sciopero può dare dei segnali soprattutto quando si uniscono quaranta Paesi nel mondo. È un momento storico e la collaborazione diventa fondamentale». La sua protesta la dedica a Lucia Perez, la ragazza violentata e impalata lo scorso anno in Argentina; una vicenda che ha dato il via allo sciopero globale produttivo e riproduttivo delle donne argentine in seguito alla morte della sedicenne.
«È l’assenza che fa notare la continuità della presenza – dice Mariagiovanna delle Rivolta Pagina, pensionata – sono scesa in piazza per dire che la violenza sulle donne non la sopportiamo e vogliamo fare qualcosa affinché venga eliminata». Donne che si sono fermate ventiquattro ore per far capire quanto vale il loro lavoro e si sono sottratte ai doveri domestici e a un mondo produttivo che non le riconosce. Anche se qualcuna, prima di scendere in piazza, ha comunque deciso di lasciare il pranzo pronto alla famiglia. «Oggi sciopero, il mio compagno se l’è cavata da solo, come sempre visto che in casa vige la parità tra i sessi», racconta invece la 33enne Serena Majorana – autrice di un libro su Stefania Noce, giovane vittima di femminicidio, e sul tema della violenza e degli stereotipi di genere e collaboratrice con la casa editrice Villaggio Maori – che si è presentata all’appuntamento con uno scettro fucsia, festoso simbolo del potere delle donne.
In piazza anche tanti uomini, tra cui Gabriele, che ha 30 anni e vive un rapporto a distanza. «Rispetto le amicizie della mia fidanzata perché so che non c’è differenza tra me e lei e, anzi, nonostante la vorrei qui, la supporto nella scelta di vivere all’estero». «È scontato vedere donne in piazza – aggiunge un amico – ma deve essere l’uomo il primo a rispettare la donna, dal punto di vista fisico e psicologico». Idee che, durante il percorso, hanno creato scompiglio tra chi non accetta che alla festa delle donne le protagoniste portino «i causi» e in un’anziana coppia che si trova in discordia sul ruolo delle donne. Durante il corteo, alcune vie di Catania sono state simbolicamente intitolate alla politica Lina Merlin, alla matematica Ipazia di Alessandria, alla poetessa Saffo.
Prima delle letture in piazza di alcuni stralci del Manifesto di rivolta femminile di Carla Lonzi e di brani di Goliarda Sapienza, degli inframezzi musicali e della performance di danza contemporanea che hanno chiuso la manifestazione insieme alle testimonianze della mamma di Giordana Di Stefano, uccisa a coltellate dal compagno a soli 20 anni, e di Giovanna Zizzo, madre di una bambina di undici anni uccisa dal padre che non sopportava la ribellione della moglie. «Le vittime devono continuare a parlare attraverso la nostra voce» dice la prima. «Voglio credere che può esserci un futuro migliore per tutte le giovani», conclude la seconda.
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