NELLA REALTA’ UMANA E TERRENA, L’IDENTITA’ ORIGINARIA E’ ANDATA PERDUTA, OGNI FRAMMENTO APPARE ISOLATO E DISPERSO, E NIENTE E’ PIU’ IDENTICO AD ALCUNCHE’ SE NON L’ESSERE DELLA COSA IN SE STESSA
di Rossella Cerniglia
Nella dimensione universale lOggetto è lAltro; laltro da noi, la cosa, la Materia. E con ciò detto, noi ci definiamo altro da esso, altro dalla cosa, dalla Materia. Ci definiamo sostanzialmente come Soggetto e come Spirito. Questultimo rimane immanente al nostro corpo, alla materia di cui questo è costituito.
Così possiamo ben supporre che uno Spirito unico e universale sia immanente alla Materia tutta e che dunque, Spirito e Materia, in apparenza simmetriche, siano realtà osmotiche, scambievoli volti di una medesima Cosa: il dritto e il rovescio della medaglia, immagini che si compendiano luna nellaltra, percependo lo Spirito, nellimmagine riflessa, non il se stesso, ma il suo sdoppiamento che diviene, in tal modo, Altro.
Nella realtà umana e terrena, lIdentità originaria è andata perduta, ogni frammento appare isolato e disperso, e niente è più identico ad alcunché se non lessere della cosa in se stessa.
Pertanto, se lo Spirito che guarda a se stesso, genera lAltro, genera la dualità laddove non è che Unità. Ma con ciò siamo sul piano della realtà umana, non più di Dio, poiché Dio non può che essere assoluta consapevolezza della identità di Se Stesso con ciò che a noi appare diverso, scisso e diviso.
Il pensiero delluomo sembra riproporre loriginario Specchio, lo sguardo primordiale nel quale, per luomo, si apre la frattura. Sulla terra, ancor più per luomo occidentale, essa appare insanabile, e lOrigine è il dato imprescindibile oltre il quale dimora una Trascendenza inviolata. Infatti, nellOrigine, che è un dato solamente umano, la nostra realtà è già tutta costituita e consegnata, una spaccatura ci separa dallUnità non più attingibile, e Dio è ormai lontano, e sempre più si perde in una lontananza inarrivabile.
Ma questa realtà che ci fronteggia, questa realtà nata da una tale spaccatura, questa realtà che tanto sentiamo estranea, altra e diversa da noi, costantemente ci tenta coi suoi mille adescamenti, poiché, in fondo non è che laltra faccia di Dio, la sola che ci è concesso di vedere; la sua – ai nostri occhi – trasmutazione; il Giano bifronte, che è uno in se stesso, e che il pensiero e lo spirito vedono e sentono come diviso e duale.
Perciò, ciò che sembra stare fuori di noi, ciò che ci appare come Altro, ci lascia intravedere, nei suoi spiragli, nelle sue pieghe, nei suoi oscuri anfratti, Dio, e lascia che nelle cose noi intravediamo noi stessi, frammenti scissi di tale Unità. Negli oggetti della realtà ci specchiamo credendoci altro da essi, ma, stranamente, e forse assai più spesso, trovando in essi noi stessi, la nostra impronta, limmagine di noi riflessa.
Si è sempre parlato di questa rara corrispondenza, che equivale alla scintilla di Dio in noi: il macrocosmo di Dio e il microcosmo umano che sembrano stare in un rapporto di singolare specularità, in unanalogia tale per cui se Dio è il Tutto, anche il piccolo infinitesimale granello di Dio, che è luomo, anchesso è un tutto: un piccolo tutto, un universo in sé terminato e ben circoscritto.
Il desiderio delluomo di tornare alla ricomposizione e allUnità atemporale di Dio si traduce, pertanto, in un desiderio di prensione totale di ciò che sembra fronteggiarci apparendo Altro da noi. Il desiderio di tornare dentro quellUnità, per noi, frantumata, è ciò che spinge luomo alla conoscenza e allamore. Ma la conoscenza è una modalità di approccio imperfetta, poiché tale atto non ingloba interamente lAltro, ma una piccola porzione di esso, e di questo, peraltro, la sola sua forma, il concetto, mentre la Materia sembra rimanerne fuori, come elemento refrattario e irriducibile, come antitesi dello Spirito. Perciò il desiderio di conoscenza è inestinguibile, e lumanità che in sé lo produce mostra una conoscenza perfettibile, ma sempre incompiuta. Infatti questo sembra essere il dono perverso consegnato allumanità: il dovere sempre pensare, perpetuando questo stesso pensiero attraverso lamore che procrea e che nel figlio riproduce nuovo pensiero e nuovo amore. Conoscenza e Amore, in quanto appropriazione, pure incompleta e imperfetta dellAltro, sono forse le chiavi che conducono allapertura di quella Porta che ha tagliato fuori da noi il Trascendente, il modo, forse, di riappropriarci, sia pure in un tempo infinito, della divinità che in tale frattura ci è tolta.
Ma qui la scienza moderna e lo stesso pensiero di Einstein ci sovvengono: questultimo con la teoria della convertibilità della materia in energia, fondata sulla celeberrima equazione E = mc, come a dire che ciò che avvertiamo come Spirito e come Materia, come Soggetto e come Oggetto non sono due realtà distinte, ma Unica Cosa. Questa spaccatura, creata dal pensiero che pensa se stesso e si pone a se stesso come oggetto, è quella stessa dannazione che ha schiuso le porte alla finitudine, al dolore e al male, a quello spezzettamento che allontana il frammento dallUnità e dal Tutto, cioè da Dio.
Ma se è vero che la trascendenza di Dio è illusoria, e lumanità è soggetta a una modalità di prensione imperfetta (la sola a misura umana, la sola concessa alla finitudine e piccolezza delluomo), e se è vero che tutto il nostro mondo non è che il quanto noi siamo in grado di cogliere Dio, sentiamo, proprio per questo, che esso non ci soddisfa, non ci appaga mai del tutto (proprio perché non è il Tutto), sentiamo che qualcosa di Grande e di Bello e di Buono sfugge a noi ed è questo che noi chiamiamo Mistero.
Il mistero delle cose, degli esseri tutti, della natura, il mistero delloggetto che sembra fronteggiarci nella sua globalità è laltro di Dio che a noi rimane sconosciuto, unaspirazione intrasgredibile che ci fa sempre agognare. Ecco perché gli oggetti, gli esseri del mondo tutto, sembrano suggerire qualcosa che va oltre e trascende la cosa stessa, un quid che resta insondabile; ed ecco perché gli oggetti sembrano riflettere lessenza dellessere che li percepisce, la sua anima, tutta individuale, a testimoniare che anche noi siamo parte di un Tutto, parte di un Mistero e di una divinità. Nel mondo che io esperisco cè, infatti, il mio mondo interiore, il mio sentimento, la mia capacità di percezione, la mia particolare anima, frammento di questo Tutto.
Quando dicono che la poesia colga il soffio di questo Mistero, in realtà essa non coglie che questa corrispondenza, questa ricreazione per cui ciò che sembrava Altro, torna ad essere il nostro stesso essere: ha i caratteri della nostra individualità, del nostro essere assoluto frammento del divino. E il divino della poesia sta in questa ricomposizione in Unità.
Il momento creativo è questa intima indissolubile fusione di noi alla cosa che non più ci fronteggia, ma ci appartiene, è nostra, ricreata comè, riformulata dalla nostra individuale coscienza e dal nostro spirito che scopre, in essa, misteriose consonanze, echi lontani, armonie, affinità profonde e indissolubili col nostro essere più intimo, con labisso remoto di noi stessi.
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