C’è il reliquiario del santo chiodo, un baldacchino del 19° secolo, una sedia pontificale, perfino un autoritratto attribuito a El Greco. Ma anche pistole e accette, ceramiche, pezzi del presepe catalano, mosaici, statuette in avorio e in alabastro raffiguranti ninfe seminude, satiri barbuti, animali, teste e busti, oltre a vari cofanetti e dipinti.
Sono tanti gli oggetti che i monaci benedettini raccoglievano come formiche e collezionavano all’interno del Monastero di piazza Dante, che adesso tornano a essere fruibili dai catanesi grazie alla mostra L’istinto della formica. Arte moderna delle collezioni benedettine dai depositi del castello, curata dalla professoressa di Storia dell’arte moderna Barbara Mancuso e allestita al museo civico del Castello Ursino, in piazza Federico di Svevia, dove è stata inaugurata giovedì 30 marzo. Un’iniziativa che pare essere una risposta a chi chiedeva sì Warhol e Chagall, ma insisteva anche sull’esigenza di un legame col proprio territorio. Dopo le critiche legate alle mostre itineranti di grandi artisti su cui si era espressa anche la museologa di origini catanesi Mercedes Auteri l’amministrazione e l’Università hanno lavorato fianco a fianco per recuperare il patrimonio catanese e restituirlo alla città.
Un’operazione che potrebbe essere anche un primo passo verso un progetto di più ampio respiro, un museo delle collezioni, di cui quella dei benedettini rappresenta una piccola parte. «Sono tutti pezzi che appartenevano ai monaci e provengono da un museo archeologico che nel 700 e nell’800 era allestito all’interno del monastero e che ormai è sconosciuto», spiega a MeridioNews la curatrice. «Nessuno si è mai chiesto cosa ci fosse nel museo oltre le raccolte di antiquaria – sottolinea Mancuso – cui si affianca una grande varietà di oggetti, anche rari». Come la canna di bambù datata 1612 incisa e firmata da Giuseppe Catalano, incisore di Palazzolo Acreide, con motivi vegetali e figure mitologiche.
«Una volta che sono stati tirati fuori dai depositi questi oggetti hanno avuto una seconda possibilità – aggiunge la docente – sono stati studiati e quindi conosciuti e adesso è un po’ più difficile riporli e dimenticarli». Un lavoro – che si lega a un progetto di ricerca di cui è direttora Mancuso e che punta alla valorizzazione di alcuni di questi oggetti tramite la realizzazione di schede informative – in cui sono stati coinvolti anche gli studenti della triennale in Beni culturali e magistrale in Storia dell’arte e beni culturali, oltre un paio di dottorandi attivi nello studio sul patrimonio.
«Coinvolgerli è importante per loro e per me – dice la docente – perché alla loro esperienza formativa si aggiunge il momento della verifica del lavoro che abbiamo fatto in aula e delle conoscenze acquisite». Un «ottimo primo inizio» per Alberto Rapisarda, laureato da qualche mese. «Come primo approccio è stata una buona palestra e un modo per cominciare ad avere a che fare con le opere e presentarsi al mondo in cui spenderemo la nostra carriera». «Una volta che ti metti in gioco in iniziative come questa non hai paura del fallimento – aggiunge il collega Emanuele Liotta – anzi ci credi ancora di più». Anche la neo dottoressa Federica Torrisi, laureata da appena due giorni, ha preso parte ai lavori. «Sono la più giovane e inesperta, ma occuparmi della mostra e della vita all’interno del museo è stato fondamentale per aprirmi la strada per la specialistica e capire cosa vorrò fare in futuro».
«Lavorare a una mostra ad alto contenuto scientifico all’interno di un territorio come quello catanese e studiando pezzi nostrani è stato utile dal punto di vista formativo e scientifico, qualsiasi sia il nostro ambito e livello di studio», commenta invece il dottorando Salvo Pistone Nascone, che aggiunge come la mostra sia un trampolino di lancio per approfondire scientificamente i movimenti collezionistici e la manifattura dei vari pezzi e dar vita a un catalogo. «Abbiamo inaugurato un ulteriore tassello di una strategia che punta alla valorizzazione del patrimonio locale», afferma Orazio Licandro, assessore ai Saperi e alla bellezza condivisa. Che comprende i dipinti dell’800 siciliano e gli affreschi delle catacombe di Domitilla, fino alla mostra sulla numismatica allestita a cura del professore Giuseppe Guzzetta al museo civico. «Chi dice che non valorizziamo il nostro patrimonio – conclude Licandro – non ha mai messo piede qui dentro».
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