L’insegnamento di un maestro

«Alla verità non appartiene solo il risultato, ma anche la via», è l’epigrafe che Gaetano Compagnino aveva scelto come apertura del suo contributo al primo numero della rivista ‘Le forme e la storia’ nel 1980. Rivista che, dopo una pausa di sei anni, ritorna con un numero speciale proprio in ricordo di uno dei suoi fondatori e dei più vivaci animatori. Il refettorio piccolo delle Biblioteche riunite “Civica e Ursino Recupero” ha ospitato venerdì mattina la presentazione dei due volumi organizzata dal Dipartimento di Filologia Moderna e dalla Facoltà di Lettere: 1430 pagine per ottantadue saggi che dimostrano la mobilitazione di docenti, studiosi, critici ed ex allievi nei confronti di un collega, ma spesso anche amico e maestro.

«Gaetano Compagnino – ricorda l’italianista Nicolò Mineo – inizia il suo percorso presso la facoltà di Lettere nel momento del passaggio della cattedra di letteratura italiana dal professore Figurelli a Muscetta. E dimostra negli anni la sua predisposizione ad essere un fine pensatore teorico. Tuttavia, dal fatto che tanti giovani provenienti dalla sua scuola ci hanno chiesto di partecipare alla stesura di questi volumi, si evince che oltre ad essere un grande teorico, Compagnino ebbe una fortissima presa didattica».

Lo studio e la ricerca accompagnati dunque dalla didattica, dal confronto quotidiano con gli studenti, con i giovani che si soffermavano a discutere in aula ben oltre la fine delle sue lezioni.

«Oggi ci sono storici dell’arte, esperti di tecnologia della comunicazione, giovani che vanno crescendo in seno al nostro dipartimento o che eccellono altrove, che sono stati allievi del professor Compagnino e che a lui devono molto», afferma Andrea Manganaro, docente di Letteratura Italiana presso la facoltà di Lettere e curatore del volume “Forme e storia”.

Ma chi era e qual era l’idea di letteratura di Gaetano Compagnino?

«Romano Luperini, facendo un quadro della teoria letteraria marxista e materialista negli anni della sua crisi, della crisi delle ideologie, dagli anni settanta ad oggi, pone Compagnino nella generazione di mezzo, insieme a pochi altri teorici letterari di livello nazionale, sotto la voce ‘marxismo classico’ – racconta ancora Manganaro – ma in realtà il professore non si limitava a Marx e ai critici marxisti. ci faceva studiare la Poetica di Aristotele, ad esempio, testo fondante di una teoria della letteratura in sé, distinta dalla politica e dalla retorica».

Non manca il riferimento alle sue origini: la formazione giovanile nella biblioteca comunale del suo paese, Militello, che aveva letteralmente saccheggiato, e il suo farsi capire anche dai concittadini più umili. «Tutta la città conosceva Compagnino – afferma Antonio Lo Presti, il sindaco di Militello, intervenuto alla fine della presentazione – Non solo gli intellettuali e i politici, ma anche i contadini e gli artigiani da cui si faceva ascoltare e comprendere, consapevole della necessità di elevare il livello di coscienza popolare. Per questo porteremo avanti i lavori della fondazione Compagnino: è l’impegno di una città che acquisisce consapevolezza del valore di un suo grande concittadino».

Prima della relazione finale del professor Giuseppe Giarrizzo che ha abilmente cucito il filo tematico che unisce gli ottantadue saggi del volume, sono intervenuti il preside della facoltà di Lettere Enrico Iachello, i docenti Giuseppe Dolei, Antonio Pioletti e Nicolò Mineo. Insieme allo sguardo rivolto indietro nel ricordo, anche un’occhiata preoccupata al presente della ricerca in campo umanistico. Come sarebbe stato valutato Gaetano Compagnino oggi da un mondo accademico che ha fatto della quantità l’unico parametro di giudizio?

Benedetta Motta

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