Il clima era quello di una grande rimpatriata. Gli aneddoti vecchi di 25 anni, le pacche sulle spalle, le lacrime (a favore di telecamera) nel ricordare che «non è soltanto ricostituire una militanza politica, è anche ritrovare gli amici». La manifestazione È sempre più blu sancisce l’ingresso ufficiale del sindaco Salvo Pogliese tra le file di Fratelli d’Italia. Il primo cittadino si sposta dall’azzurro di Forza Italia a una tonalità più scura. L’abbraccio simbolico con Giorgia Meloni diventa fisico nell’auditorium dello Sheraton di Aci Castello, tra gli applausi fragorosi delle centinaia di persone accorse per la leader del partito più sovranista che ci sia. Lei è perfetta nel suo ruolo: saluta tutti, annuisce, sorride, si rivolge ora alla platea ora ai giornalisti. Scherza con i suoi e l’ironia, del resto, non le è mai mancata. «Ho una foto del 1993 che sono disposta a cedere a un prezzo adeguato – ride Meloni – Era il torneo di pallavolo del Fronte della gioventù, Salvo e io giocavamo nella stessa squadra e abbiamo vinto».
Lo scatto più eloquente della serata è questo: la squadra che si ricompone. «Non siamo una ridotta nostalgica del Msi», dice Guido Castelli, da poco ex sindaco di Ascoli Piceno («La città dei cento campanili», la definisce Meloni, mentre Basilio Catanoso trasale) fuoriuscito quasi in contemporanea a Pogliese da FI. Stasera ha ufficializzato il suo trasferimento, armi e bagagli, fra i meloniani. È lui a parlare più spesso di patriottismo, è lui a menzionare l’inafferrabile «ideologia gender che mira a distruggere le città». Per il resto, discorso conclusivo di Meloni a parte, i temi e le adesioni sono più locali che nazionali: Antonio Bonanno (sindaco di Biancavilla), Massimiliano Giammusso (sindaco di Gravina di Catania), Salvatore Puglisi (sindaco di Linguaglossa), Pippo Limoli (sindaco di Ramacca, ex alfaniano), Santo Trovato (ex sindaco di San Giovanni La Punta ai tempi dello scioglimento per mafia, poi ricandidato senza successo), Dario Daidone (ex candidato alle Regionali 2017), Pippo Pagano (ex senatore ed ex alfaniano), Dino Fiorenza (ex Mpa). Sono da più tempo meloniani il sindaco di Castel di Iudica Ruggero Strano e il suo assessore, deputato Ars da lombardiano, Pippo Arena.
Manlio Messina, neo assessore regionale al Turismo al posto di Sandro Pappalardo (che lo saluta dalla platea), cita tutti a uno a uno. E si emoziona quando ricorda che ritrovare Pogliese è ritrovare un amico. Diventa rosso in viso, si interrompe, gli vengono gli occhi lucidi. Nel ricordare il passato politico del primo cittadino catanese non manca di sottolineare quanto sia stato lungo il suo percorso. Dalla seconda fila ad annuire si rivede Antonio Pogliese, padre del primo cittadino, commercialista, da qualche mese tornato in libertà dopo il buio degli arresti domiciliari a seguito dell’inchiesta Pupi di pezza della procura di Catania.
Ad applaudire il loro sindaco arrivano anche gli assessori comunali Sergio Parisi (Sport) e Pippo Arcidiacono (Lavori pubblici). Non c’è Ludovico Balsamo per incombenze personali, ma la giunta è più che adeguatamente rappresentata. Fratelli d’Italia passa di fatto da uno a tre assessori, e i mugugni sono già iniziati a Palazzo degli elefanti. In prima fila siedono poi, uno accanto all’altra, Luca e Rossana Cannata (rispettivamente sindaco di Avola e deputata regionale, in fuga anche loro da FI), l’ex senatore Nino Strano, l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, l’eurodeputato Raffaele Stancanelli. «Salvo – si rivolge Stancanelli a Pogliese – adesso sai cosa vuol dire fare il sindaco di Catania». L’allusione è alla sua precedente esperienza da primo cittadino, conclusasi nel 2013 con la sconfitta a opera di Enzo Bianco. «Sono felice che tu sia tornato nella casa madre: assieme faremo grande questa città».
Pogliese parla subito prima di Meloni. È la superstar della serata e si comporta come tale. Se la prende con Gianfranco Miccichè, parla della Catania-Ragusa bloccata dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e della necessità di fare il ponte sullo Stretto di Messina. Se la prende con il Movimento 5 stelle, «perché i siciliani non hanno bisogno del reddito di cittadinanza ma di politiche per il Sud». Ringrazia, dal palco di Meloni, i leghisti Stefano Candiani e Matteo Salvini (in quest’ordine) per l’aiuto dato alla città con il Salva Catania (farò una cosa forse «eretica per una convention di partito»). Con il Carroccio il flirt c’è stato, il sindaco non lo nasconde, ma la Fiamma è tutta un’altra storia. Allude, poi, al fatto che molti altri amministratori di Forza Italia seguiranno la sua strada. «È stata una scelta di cuore – ricorda, riprendendo il motto della sua campagna elettorale da primo cittadino – Per me è un ritorno a casa». Nostalgia canaglia, avrà pensato chi sperava di avere più spazio nel partito di Giorgia Meloni. Adesso, però, quello spazio se lo prende Pogliese. Col rilievo che avrebbe sempre voluto in Forza Italia e che adesso ha altrove. Fuori dallo Sheraton è questo il commento che va per la maggiore. Prima che i presenti scoprano, però, che le loro auto sono piene di multe del Comune di Aci Castello. Con la sanzione in mano, a perdere la proverbiale diplomazia della politica sono quasi tutti.
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