Lesbiche e femministe, un cielo senza metà «Dichiarare il nostro orientamento è politica»

«Mi chiamo Luigi Tabita e sono un attore. Recentemente, ho tentato di creare a Noto una finestra sulla comunità omosessuale. Intervengo perché ci tenevo a dirvi che poco fa, alle 17.30, il consiglio comunale di Noto ha approvato il registro delle unioni civili con undici sì e un solo voto contrario». Nell’aula Stefania Noce dell’ex Monastero dei Benedettini, quando Luigi si interrompe, parte un applauso. La platea è quasi completamente femminile, l’età media è bassa. Sono quasi tutte studentesse universitarie venute ad assistere alle proiezioni di L’altra altra metà del cielo e L’altra altra metà del cielo… continua, i due docufilm di Maria Laura Annibali, garante per le Pari opportunità della Regione Lazio e presidente dell’associazione nazionale Di’gay project. «Io penso – prosegue l’artista, quando i battiti di mani glielo consentono – che la gente sia più disposta ad accettare le diversità di quanto non si voglia far credere». Dici diversità, leggi omosessualità. O, nello specifico dell’incontro di ieri pomeriggio, lesbismo e femminismo.

Sulla parete bianca dell’aula recentemente intitolata alla studentessa brutalmente uccisa dal suo ex fidanzato un paio di anni fa, un proiettore rimandava le immagini dei due film («le mie due figlie», le chiama Annibali) documentaristici. Vivaci e sincere interviste a donne, tutte lesbiche, alcune femministe, senza peli sulla lingua («Adesso una domanda intima, che biancheria indossi?», domanda Maria Laura Annibali alla sua amica tassista in giro per le strade di Roma). Ma al termine di entrambe le pellicole, a far partire un dibattito altrimenti stentato è stato un uomo: Luca, studente di Psicologia. «In una delle interviste che abbiamo appena visto – dice – si parla della speranza di creare un movimento o un partito di sole donne. È il separatismo, avete detto. Ma non è un discorso discriminatorio al pari di quelli che contestate?». In sala inizia un brusio. «Voi ci avete discriminate per migliaia di anni», risponde qualcuno dal pubblico. «Ho anche una seconda domanda – continua il ragazzo – Perché avete sentito il bisogno di precisare, nelle presentazioni, che siete lesbiche? Non si può vivere serenamente la propria sessualità senza doverla marcare?». Il brusio diventa più forte. «Ma questo in che mondo vive?», domanda una ragazza alla sua fidanzata, seduta al suo fianco.

La questione è complessa. Ed è in parte per affrontarla che le associazioni Stonewall, Queer as Unict, assieme al Segretariato italiano degli studenti di Medicina e al dipartimento di Scienze umanistiche dell’università di Catania hanno organizzato l’incontro di ieri per parlare della realtà lesbica. «In occasione della giornata contro l’omofobia del 17 maggio abbiamo realizzato delle interviste in via Etnea – spiega Giulia Frosini, che per il Sism si occupa di salute riproduttiva – Abbiamo fatto ai passanti domande tipo “Come mai sei eterosessuale?”, “Da quanto tempo?”, “Come fai a dirlo se non sei mai stato a letto con persone del tuo stesso sesso?”». Hanno, insomma, ribaltato la questione e i luoghi comuni. Le risposte, secondo la ragazza, «sono state sorprendentemente aperte». «È come se ci fosse una sorta di pregiudizio sull’esistenza di un pregiudizio», afferma ancora la giovane.

«Il fatto è che c’è in atto, in questo momento in Italia, una censura di stampo clericale e fascista», attacca Tiziana Biondi, presidente di Stonewall Glbt Siracusa. «Per questo motivo essere in un’università a parlare di lesbiche è rivoluzionario – rilancia Biondi – A scuola ci è sempre stato taciuto il ruolo delle donne, ci è stata data un’immagine distorta delle femministe, ci hanno fatto credere che odiano gli uomini. I tempi sono cambiati, ma noi stiamo tornando indietro». Secondo la presidentessa dell’associazione siracusana, «adesso, più che mai, dichiarare chi siamo è un atto politico». E si accalora: «Quando mi presento come lesbica non lo faccio per marcare la mia omosessualità, lo faccio perché per rivendicare i miei diritti sono costretta a mettere la mia vita in piazza». In ballo ci sono le conquiste – da ottenere – di gay, lesbiche, bisex e transessuali, oltre che le vite di molti adolescenti: «I recenti suicidi – interviene Nadia Germano, giornalista e moderatrice dell’incontro – ci ricordano che rivendicare con pride, con orgoglio, la propria omosessualità è fondamentale». «È una risposta all’isolamento e al ghetto», le fa eco Francesca Milone di Queer as Unict.

«C’è una frase che Pierpaolo Pasolini diceva spesso – racconta Stefania Rimini, docente di Discipline dello spettacolo nell’ateneo etneo – “Gettare il corpo nella lotta”, che significa più o meno “Metterci la faccia”, ma è qualcosa di più profondo». Secondo la professoressa Rimini, «il motto sottolinea la necessità dell’impegno per lasciare una testimonianza». L’importanza del racconto. «Con questi lavori mi volevo rivolgere ai giovani – conclude Maria Laura Annibali – Mi sono battuta come una leonessa per poter entrare nelle scuole e nelle università. Oggi sono qui, ma sapete quante scuole sono riuscita a raggiungere?». Silenzio. «Cinque.»

Luisa Santangelo

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