«Problemi di traslatore», «mancanza di linea», «motivi tecnici» o «guasto tecnico», «mancanza di energia elettrica». Sono tante e diverse le diciture adottate, di volta in volta, per spiegare le ragioni per cui non vengono registrate alcune conversazioni di Vincenzo Scarantino, nero su bianco nei brogliacci dell’epoca. Siamo tra il 22 dicembre 1994 e il 9 luglio 1995, da ottobre il finto pentito di via D’Amelio si trova con la famiglia in un appartamento del residence La Meridiana a San Bartolomeo al Mare. All’inizio in regime di detenzione extracarceraria e poi, dal 12 dicembre, in qualità di collaboratore di giustizia, per essere poi trasferito di nuovo con la famiglia a Livorno il 28 luglio ’95. È subito dopo l’inizio della sua collaborazione che il telefono di quell’appartamento viene messo sotto intercettazione. A occuparsi di quelle registrazioni, catturate con una Rt 2000, sono gli agenti del gruppo Falcone-Borsellino. Ogni operatore, in quei brogliacci oggi accuratamente analizzati in una relazione di 15 pagine della Dia trasmessa alla procura di Caltanissetta, «in maniera autonoma, utilizza sigle e/o diciture da lui ritenute opportune».
Di quelle telefonate, alcune risultano oggi mai registrate. Di queste, secondo la Dia, alcune sarebbero state tra Scarantino e alcuni magistrati che all’epoca stavano indagando sulla strage di via D’Amelio. In particolare, Annamaria Palma, oggi avvocata generale a Palermo, e Carmelo Petralia, attualmente in servizio alla procura di Catania. Entrambi indagati dalla procura di Messina per calunnia aggravata. Tre, in particolare, le utenze che hanno attirato l’attenzione della Dia: una è un numero di cellulare, utenza che «risulta intestata alla procura generale di Caltanissetta – si legge nella relazione -. Non fa parte delle utenze fornite da Rosalia Basile (all’epoca moglie di Scarantino ndr) durante l’udienza del 21 marzo 2019». Scarantino chiama questo numero per due volte, il 3 e il 4 maggio ’95, ma in entrambe le occasione «per motivi tecnici la telefonata non è stata registrata». Simile il motivo per cui non risultano registrate altre due telefonate, fatte da Scarantino a un’utenza fissa che «risulta intestata alla corte di appello di Caltanissetta – si legge sempre nella relazione della Dia -. Tuttora in uso a codesta procura della Repubblica, verosimilmente attestata all’interno di un ufficio» oggi occupato da un sostituto procuratore.
Chi c’era all’epoca in quella stessa stanza? A chi appartenevano quell’ufficio e quel numero? Scarantino chiama la prima volta il 6 giugno ’95, accanto a quella data annotato sul brogliaccio un «non comunica» non meglio specificato. E di nuovo una chiamata il 22 giugno ’95, questa volta l’annotazione è di «guasto tecnico». E poi c’è un’altra utenza fissa, che Scarantino avrebbe chiamato più volte, telefonate rimaste quasi tutte senza risposta. Un’utenza che «è verosimilmente stata in uso sia alla dottoressa Annamaria Palma che al dottor Carmelo Petralia, ambedue in quel periodo in servizio presso codesta Procura». Le conversazioni con entrambi sono state registrate tutte nel ’95: ce n’è una il 7 febbraio e l’annotazione è «Enzo con magistrato», un’altra il 14 marzo e ancora «Enzo con magistrato», poi il 3 maggio con la dicitura «per motivi tecnici la conversazione non è stata registrata», e ne risultano tre l’8 maggio: «Enzo conversa con la dottoressa Palma…», «la dottoressa Palma spiega ad Enzo…», «Enzo parla col dottor Petralia». Infine, ce ne sono due a giugno, una il 12 («Enzo chiama la dottoressa Palma») e un’altra il 27 («Enzo conversa con la dottoressa Palma»).
«L’utenza in questione, stando alle informazioni assunte presso il personale in servizio alla Procura, era in uso ai magistrati per le conversazioni ritenute riservate», scrive ancora la Dia. E, in effetti, a confermare che le telefonate tra Scarantino e i pm impegnati nelle indagini su via D’Amelio possano all’epoca non essere state registrate è anche un ex funzionario del gruppo Falcone-Borsellino ascoltato poco tempo fa al processo a carico di Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata e anche loro in forze all’epoca nel pool investigativo. L’ex agente è Giampiero Valenti, che ha trascorso quattro turni di servizio con Scarantino a San Bartolomeo al Mare. E che ha raccontato davanti ai giudici di Caltanissetta di non aver mai avuto a che fare con quelle intercettazioni: mai registrate, mai gestite, mai ascoltate. L’unico coinvolgimento, sempre marginale a suo dire, avviene quando il collega Giuseppe Di Gangi gli avrebbe detto «fammi compagnia, vieni con me», e lo accompagna a interrompere l’intercettazione in corso perché Scarantino avrebbe dovuto parlare di lì a poco al telefono con i magistrati. «Non so se era lui che doveva parlare coi pm o viceversa, loro con lui». Un’interruzione di cui oggi non esisterebbe alcuna annotazione. «All’epoca, forse per l’inesperienza e perché non potevo immaginare cosa sarebbe successo oggi, non lo trovai anomalo».
Intanto, adesso gli inquirenti chiedono alla Procura di Caltanissetta, inoltre, di «visionare i fascicoli personali dei sostituti procuratori in servizio in quel periodo presso codesta procura» per «addivenire all’eventuale identificazione del magistrato che aveva in uso l’utenza in questione», conclude la nota della Dia. Tra le quindici pagine, inoltre, viene segnalata anche una conversazione del 25 febbraio ’95 tra Scarantino e un’avvocata: «L’avvocato dice di stare tranquillo e di non mandare nulla all’aria – si legge nel sunto del brogliaccio -. Enzo dice “no, questo no, io dovrei parlare con lei”. L’avvocato: “Io mi sto organizzando, aspetto l’autorizzazione perché la voglio incontrare da solo”. Enzo: “Sì, così si parla”. Avvocato: “Abbiamo tante cose di cui parlare”». Cosa significa esattamente questa conversazione fra i due? E qual è il senso, alla luce di tutto quello che è accaduto in seguito, del passaggio in particolare in cui la legale gli dice di “non mandare tutto all’aria”? La Dia pone l’attenzione su questa conversazione, come su altre: quella, ad esempio, della mattina del 9 marzo ’95 diretta alla questura di Palermo, di nuovo una «conversazione non registrata per cause tecniche». O un’altra ancora del pomeriggio del 21 aprile, anche questa diretta a un’utenza palermitana, il cui «testo non è ben comprensibile», potrebbe non esserci stata conversazione telefonica.
Non c’è traccia neppure dell’intervista rilasciata al giornalista di Mediaset Angelo Mangano il 27 luglio ’95, in cui Scarantino in diretta su Studio Aperto ritratta. Poco prima, a parlare col cronista era stata anche la madre del picciotto della Guadagna, lì nella loro casa: «Questa signora mi racconta che il figlio aveva chiamato al telefono di casa, aveva detto che lui si era inventato tutto, che non era vero nulla, che aveva accusato delle persone innocenti (le stesse che da condannati vestono oggi a Caltanissetta i panni di parti offese nel processo per calunnia contro i tre poliziotti che potrebbero aver contribuito alla creazione del falso pentito …ndr), e che aveva voglia di andare in galera, di non fare più il pentito», come raccontato dallo stesso cronista, per la prima volta sentito in un processo sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio. «Si noti come a quella data – scrive la Dia – l’intercettazione dell’utenza di Scarantino era stata interrotta». Ancora una volta non possiamo che chiederci perché.
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