Le madri che uccidono i figli non sono dei «mostri disumani» Criminologo: «Giudicarle non caratterizza la nostra umanità»

«Mostro disumano» è il giudizio che molte persone – specie nei commenti sui social – hanno dato di Martina Patti. La madre 23enne di Mascalucia che lunedì ha ucciso a coltellate la figlia di quattro anni Elena Del Pozzo, ha parzialmente interrato il cadavere in una buca scavata in un terreno incolto a poche centinaia di metri di casa e poi ha inventato la storia di un rapimento compiuto da uomini incappucciati. Una versione ricca di fin troppi particolari che, da subito, non ha convinto gli inquirenti e che la donna ha ritrattato solo dopo essere stata messa di fronte alla sequenza delle immagini delle telecamere di videosorveglianza lungo il tragitto dall’asilo a casa. Da Medea (che ha anche dato un nome a una sindrome) a Veronica Panarello, nella mitologia e nella storia (anche recente) sono molti i casi di madri che uccidono i figli che non si possono difendere. «È un gesto che è e resta l‘atto contro natura per eccellenza perché – spiega a MeridioNews Roberto Gennaro, criminologo, sociologo, avvocato e docente all’Università di Catania – è la negazione del vincolo più viscerale che esiste tra due esseri umani: una donna e il figlio o la figlia che ha messo al mondo».

Ed è proprio questa innaturalità del gesto a creare nella società le reazioni maggiormente astiose, più che nei casi in cui a compiere l’infanticidio sia il padre. «Se riconosco nell’altro il “mostro disumano” – commenta Gennaro – in realtà, in qualche modo, mi differenzio e mi distinguo da lui e, così, caratterizzo la mia umanità, il mio essere umano». Sconosciuti, persone comuni e anche personalità del mondo dello spettacolo hanno espresso i loro giudizi, spesso non pacati, su Martina Patti. In molti l’hanno frettolosamente definita «pazza»; mentre i primi aggettivi che hanno usato per descriverla i genitori del suo ex compagno e padre della bambina sono stati «fredda e non empatica». La sua ex cognata ha anche raccontato qualche situazione in cui la donna avrebbe picchiato la bambina. Episodi che la zia, a posteriori, si dice pentita di non avere denunciato. «Dobbiamo ricordare, in ogni caso, che purtroppo – analizza l’esperto – non ci sono segnali precisi ricorrenti né linguistici né comportamentali che possano fare prevedere che si possa arrivare a un gesto del genere». Può essere fatta però una ricostruzione a posteriori andando a ritroso. 

«La anormalità di alcuni istinti, invece, è molto più normale di quello che si può pensare – fa notare Gennaro – anche nelle madri. Molte decidono di rivolgersi a degli esperti nel momento in cui hanno degli impulsi di cattiveria nei confronti dei figli piccoli. Specie se si tratta di donne che sono chiamate a gestire tutto il peso e le responsabilità da sole e che, banalmente, non riescono nemmeno a dormire». Dunque, istinti e impulsi aggressivi da parte delle madri possono avere una base di normalità. «Di fronte a questo molte si bloccano, si chiedono se sono delle buone madri, se quegli istinti sono compatibili con l’essere genitore e si rivolgono anche a chi può aiutarle. Il gesto estremo, comunque, rimane non normale: è un istinto di autodistruzione, di distruzione di ciò che si è creato e, in qualche modo, è anche distruttivo della società perché è contrario alla prosecuzione della specie». 

Sull’infanticidio di Elena molte cose restano ancora da chiarire. L’arma usata per il delitto (probabilmente, in base alle ferite, un coltello da cucina), il luogo in cui è stato compiuto (se in casa o nel terreno dove il corpo senza vita è stato ritrovato chiuso dentro cinque sacchi di plastica nera) e il movente. Gli inquirenti hanno ipotizzato che la donna – che si trova in carcere con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato e occultamento di cadavere e per cui la procura ha avanzato anche l’aggravante della premeditazione – abbia agito per una «gelosia dovuta al timore che la bambina potesse affezionarsi alla nuova compagna del padre». L’avvocato Gabriele Celesti che la difende ha affermato, riportando quanto riferito dall’indagata durante la confessione, che «ha agito come se non fosse in lei, come se avesse avuto una forza sovrannaturale alla quale non ha potuto resistere e non c’è stato un pensiero che l’ha potuta frenare». Il legale ha già annunciato che come strategia difensiva chiederà che venga effettuata una perizia psichiatrica «per vedere se ci sono rilievi di profilo psichiatrico che possono avere influenza sul fatto». 

Marta Silvestre

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