Le indagini della scientifica, tra realtà e fiction «Per risolvere un caso serve lavoro di squadra»

Un incontro per fare chiarezza sulla realtà attuale delle indagini scientifiche in Italia e distinguere così i metodi che si applicano nella realtà rispetto ai modelli proposti dalle fiction televisive. Alla Biblioteca Sociale Antonino Agostino e Ida Castelluccio c’erano il direttore tecnico Paola Di Simone, funzionario del gabinetto regionale di polizia scientifica e il vice questore Rosaria Maida, dirigente della sezione Reati sessuali e in danno di minori della squadra mobile di Palermo. Dal dialogo tra i due funzionari, nel raccontare alcune loro esperienze professionali, è emerso con forza come nello svolgimento delle indagini di polizia permanga, anche alla luce delle più recenti tecniche di investigazione scientifica, una stretta correlazione tra le indagini tradizionali e quelle scientifiche e come queste ultime si pongano in rapporto di complementarietà rispetto alle prime.

«Ci vuole sempre l’attenzione dell’investigatore e il suo intuito, che vanno a braccetto con i riscontri della scientifica. Oggi si possono ottenere risultati di gran lunga superiori al passato – afferma Di Simone -. Abbiamo sempre tecniche nuove alle quali attingere come quella della ricostruzione virtuale della scena del crimine. Il fattore tempo è fondamentale, e la bellezza di questo lavoro è che lo spunto parte da chi segue le indagini. L’aiuto in più arriva da noi anche grazie all’utilizzo, ad esempio, della banca dati del Dna». Di Simone, specialista in genetica medica, è anche autrice di un libro, Crimini al microscopio, che ripercorre anni della sua esperienza professionale e che tocca anche casi eccellenti come la storia di Concetta, l’infermiera cinquantenne uccisa e nascosta in una valigia come un oggetto, oppure l’esame del Dna sui mozziconi di sigarette lasciati dai mafiosi sulla collina il giorno della strage di Capaci, e, ancora, la terribile vicenda della neonata gettata nella spazzatura nel 2006 a Palermo. «Il libro non è nato per essere un libro – spiega Di Simone -. Avevo scritto una serie di storie da dedicare e raccontare un giorno ai miei figli, anche perché mi sentivo un po’ in colpa per tutto il tempo che ho sottratto loro per occuparmi di indagini anche lunghe e complesse. In più non volevo dimenticare casi che mi avevano dato tanto».

Ma il suo lavoro serve anche per fare chiarezza rispetto al messaggio che arriva dalle fiction: «Negli anni ho incontrato persone che mi dicevano “ma tu lavori tipo Csi”. Così ho iniziato a guardare questi telefilm e ho notato un po’ di differenze e mi sono detta “vediamo se riesco a spiegare perché siamo diversi”». Codis, ad esempio, è un software che sfrutta una banca dati: «Nel ’99 è stato messo a punto dall’Fbi – spiega Di Simone -. Ogni Paese ha istituito una propria banca dati. In Italia è arrivata con la legge 85 del 2009. Abbiamo impiegato del tempo per tutelare la privacy del cittadino e allo stesso tempo rendere funzionante uno strumento che aiuta molto le indagini e che ha codici di accesso stringenti. Non è un grande fratello occulto». Al di là del clamore del caso che si sta trattando, anche dopo anni Di Simone rivela: «Ancora oggi mi emoziono quando per prima devo vedere se il match c’è o no, tocco con mano gli sforzi che si sono fatti». Le fa eco il vice questore: «È il riscontro di un lavoro di squadra, costato molto in termini di tempo e difficoltà superate. Come, ricordo, un’indagine che ha riportato il sorriso a una ragazza straniera che aveva subito una violenza sessuale molto grave. Dopo un anno riuscire a ricevere quella telefonata da parte della scientifica è stato bellissimo».

Trovare un riscontro significa di fatto aver posto fine a un comportamento criminale. In questo ambito sono molto importanti le collaborazioni internazionali. Sulla stretta collaborazione tra scientifica e investigatori Maida ricorda: «Non molti mesi fa ero di turno quando c’è stato un omicidio in una notte in cui c’era una tempesta, i tecnici della scientifica sono arrivati dotati di un gazebo per tutelare la scena del crimine. Tutte le prove raccolte grazie a questo ci hanno permesso di portare avanti le indagini. Si è riusciti anche a tenere lontani i vicini e i familiari. Questi gazebo e altri strumenti ci hanno permesso di arrivare alla soluzione del caso anche se sono i secondi a intervenire. Prima arriva la volante poi gli investigatori e la scientifica». In questo ambito ricordano entrambe come il rapporto tra colleghi non si limiti solo a un passaggio di carte. «Ci supportiamo a vicenda – dice Di Simone -. La polizia scientifica ha le risorse per tutto quello che serve. Una sezione che non risente della crisi. Siamo  sempre al massimo delle potenzialità che la tecnologia consente».

Un rapporto di dialogo e scambio di informazioni quindi fondamentale per la risoluzione dei casi e il prosieguo delle indagini. Ma prima di tutto, anche dei metodi scientifici all’avanguardia per questi funzionari ci sono i cittadini che chiedono giustizia: «Non racconterei una storia perché è arrivata una tecnica nuova per le indagini ma perché c’è una storia da raccontare – conclude Di Simone -. I miei figli ancora il mio libro non l’hanno letto. È in un cassetto. Non credo siano ancora pronti per tutti i racconti che contiene».

Stefania Brusca

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