C’è un’isola nella mente dell’autore. Su quest’isola abitano un Mago, sua figlia, uno spirito impalpabile e uno mostro deforme che non vuole saperne di istruirsi. Prospero, Miranda, Ariel, Caliban. I protagonisti della Tempesta di William Shakespeare sbarcano, nell’immaginario dello scrittore e giornalista Davide Camarrone per l’omonimo libro edito da Corrimano edizioni, a Pantelleria. Li segue una nave che si schianta e si spacca sugli scogli durante una bufera e con essa i residui umani di pochi naufraghi, schiavisti e assassini che solcavano le acque per trasportare materiale umano. Con loro il Timoniere, personaggio nuovo e complesso, che si farà narratore finale della storia.
Sulla scena i personaggi si muovono secondo la conosciuta trama shakespeariana, ma la riscrittura porta con sé elementi di novità, momenti di sonorità pura delle parole che è bello leggere ad alta voce, e scontri fra personaggi che si fanno portatori di idee. Invidiamo la leggerezza di Ariel, libero perché fatto di vento e canzoni, ma ancora schiavo di Prospero; uno spiritello che dovrebbe incarnare il concetto di libertà ma al tempo stesso la anela, contraddizione di se stesso. E nonostante la deformità fisica e morale di Caliban, che del resto riflette l’antica concezione della kalokagathìa greca, ci sentiamo visceralmente attratti da lui, che vorrebbe tutto il contrario di tutto, che elogia e nomina nuovo padrone un ubriacone che gli fa dimenticare il mondo, e non l’uomo di scienza e cultura che ha tentato di elevarlo. C’è in Caliban il bisogno disperato di precipitare, mentre in Ariel quello di volare. Entrambi, però, usano la parola libertà.
Il mago Prospero conosce e anticipa ogni mossa e ogni pensiero, abile demiurgo delle vicende, mette alla prova lo spasimante della figlia e architetta tranelli per i suoi nemici, disciplina insomma le dinamiche tra i personaggi, comandando loro di presentarsi, di uscire di scena, di destarsi e di dormire. Narratore e personaggio nello stesso momento, ha anche lui un bisogno: quello di tornare a casa, di ritrovare una pace che nemmeno i libri e la cultura hanno potuto portargli. Prospero è infatti un esiliato naufragato sull’isola anni prima, che ha saputo sì adattarsi alla nuova vita, ma ancora desidera ritornare alla vecchia. Non suona nuova come descrizione, perché vale per tutte le persone dalle intelligenze pulsanti costrette a fuggire dal proprio Paese a causa delle guerre o dei governi autoritari.
Sullo sfondo, caustiche considerazioni sulla condizione degli uomini e delle donne obbligati a imbarcarsi su una nave che a stento li contiene per affrontare una traversata in cui la maggiore sicurezza potrebbe derivare dalla morte. Perché la vita deve essere dignitosa, e dov’è la bellezza del vivere se quando arrivi in un Paese straniero sei emarginato e lasciato a te stesso, esattamente come nel Paese di partenza? Quando la migliore opportunità che ti viene data è di raccogliere pomodori sotto il sole o vendere il tuo corpo per strada, e il lettore dovrà ricordare che queste sono realtà italiane e non solo palermitane, dov’è la libera leggerezza tanto anelata da Ariel?
Ma Tempesta sfiora appena questo tema, lo tratteggia con leggerezza, affidando al lettore la possibilità di svilupparlo. Tempesta vuole innanzitutto raccontare un sogno, lasciando alla fine della lettura l’impressione di essersi destati da un incanto, come i personaggi fanno in scena, al comando di Prospero.
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