Lampedusa, il marito di Nicolini e la questione tunisina «Quando c’era lei sindaca, l’isola era più sotto controllo»

«Ne abbiamo parlato a tavola, ma in maniera serena. Anche perché in due anni le cose sono cambiate». A casa Palmeri-Nicolini il litigio è stato scongiurato. L’ipotesi non era del tutto esclusa almeno tra chi segue la cronaca e ha una buona memoria. Il primo, Peppino, è il segretario del Pd a Lampedusa, mentre la seconda, Giusy, ne è stata sindaca dal 2012 al 2017. Cinque anni in cui l’isola delle Pelagie è stata al centro dell’attenzione internazionale in quanto crocevia dei flussi migratori in partenza dall’Africa. È a Lampedusa che si accesero i riflettori per i continui sbarchi e fu lì che nel 2013 le tragedie del mare, fino ad allora rimaste al centro del Mediterraneo, si mostrarono nella loro totale crudezza. Di quella stagione, caratterizzata anche dall’avvio dell’esperimento hotspot, Nicolini è divenuta simbolo. Perlomeno per quella parte di opinione pubblica che ne apprezzò l’apertura verso l’accoglienza. 

Posizioni che Nicolini, da qualche tempo lontana dalla scena mediatica, ribadì anche dopo essere stata sconfitta, nella primavera del 2017, da Toto Martello, l’attuale sindaco di Lampedusa. Era il settembre di due anni fa quando l’ormai ex sindaca replicò al primo cittadino, che aveva sollevato il problema della sicurezza sull’isola. Nello specifico, Martello aveva puntato il dito contro i tunisini. «Lampedusa è al collasso, le forze dell’ordine sono impotenti, nel centro ci sono 180 tunisini molti dei quali riescono tranquillamente ad aggirare i controlli: bivaccano e vivono per strada. Chiedo che venga chiuso l’hotspot, una struttura inutile che non serve a niente», riportano le cronache di allora. 

A quelle parole Nicolini aveva risposto etichettando la mossa del sindaco come «voglia di fare terrorismo», affermando che un allarme legato alla comunità tunisina non ci fosse. «Basterebbe controllare il numero delle denunce presentate ai carabinieri: a me risulta solo un furto da un negozio di frutta e verdura, inoltre l’isola è piena di turisti e non mi pare che ci siano state molestie da parte di tunisini», disse. Mettendo in guardia da chi poteva essere interessato ad alimentare un «clima di paura»

A riproporre però la questione tunisina è stato in questi giorni proprio il marito di Nicolini. «Bisogna fare chiarezza sui migranti – ha scritto Palmeri su Facebook -. I tunisini, quelli che attualmente stanno causando problemi a Lampedusa, non sono profughi o richiedenti asilo, vengono chiamati migranti economici quindi vanno rimpatriati immediatamente». Nel post, Palmeri pone l’accento sulle azioni del ministro Salvini che, dichiarando guerra alle ong, è concentrato sui profughi partiti dalla Libia «che sono uomini, donne e bambini che scappano dalle violenze», sorvolando sui tunisini che «arrivano indisturbati con i barchini dentro il porto o a poche centinaia di metri: per loro i porti sono sempre aperti». 

Pensiero che il diretto interessato rivendica anche il giorno dopo, schivando ogni forma di imbarazzo. «Nessuno si permette di dire che ci sono solo delinquenti qui, però sono sempre stati i tunisini a commettere atti vandalici sull’isola, come nel caso degli incendi nel centro dell’accoglienza – dichiara Palmeri a MeridioNews -. I tunisini che arrivano sono perlopiù giovani uomini consapevoli che dovrebbero essere rimpatriati e questo può creare tensioni. I profughi che scappano dalle guerre, invece, portano addosso i traumi e la paura del passato e non pensano proprio a delinquere». Quando gli si fa notare di ricalcare il le parole che due anni fa pronunciò Martello, Palmeri fa dei distinguo. «In quel periodo non c’era l’emergenza degli sbarchi dei tunisini che commettevano furti. Non spetta a me dirlo, ma forse con l’amministrazione Nicolini e con il governo favorevole (all’epoca a guida Pd, ndr) i trasferimenti dall’hotspot erano più veloci – commenta il marito dell’ex sindaca -. In questi mesi invece, di barchini con a bordo tunisini, ne sono arrivati e ne continuano ad arrivare tanti, fin dentro al porto». Poi assicura che anche la posizione della moglie non si discosta molto dalla sua. «Riconosce che la gestione del centro non è come nel passato, il permanere nel centro porta a commettere qualche atto di violenza». L’ultima battuta per specificare di non poter esser tacciato di pregiudizi dettati dalla nazionalità: «Per anni abbiamo avuto un ristorante e il cuoco era tunisino».

Chi, pur senza voler entrare in polemica, ribadisce di non avere cambiato idea in questi anni è invece Martello. «Lo dicevo allora e lo dico oggi: l’hotspot non funziona. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che la macchina per il rilevamento delle impronte non funziona e questo accade dentro a un centro che avrebbe il compito di identificare le persone – commenta il sindaco -. Per quanto riguarda i tunisini, all’epoca ricevevo diverse lamentele ma quasi nessuno formalizzava denunce. Dopo che ho invitato i cittadini a presentarsi in caserma, i numeri delle denunce sono saliti. A gennaio 2018 erano più di una trentina. Rimpatriarli? Lo prevede la legge, non lo dico io», conclude Martello.

Simone Olivelli

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