La Sacra Sindone potrebbe non risalire al Medioevo Ricercatori da Catania: «Smentite tutte le certezze»

A trent’anni dalla attribuzione della Sacra Sindone al periodo medievale, un team multidisciplinare etneo guidato dallo statistico Benedetto Torrisi giunge alla conclusione opposta. «È tutto da rifare. C’è la piena certezza che la Sindone non risale al Medioevo», ribadisce a MeridioNews il docente dopo un convegno all’università di Catania. «La datazione è ancora possibile attraverso nuovi esami su resti mai analizzati», aggiunge il professore Paolo Di Lazzaro, vicedirettore del Centro internazionale degli studi sindonologici di Torino. Torrisi riavvolge il nastro: «Sono due le date focali nella storia della Sindone: il 1988, quando la prestigiosa rivista scientifica Nature avallò che potesse risalire agli anni tra 1260 e 1390; e il 23 maggio 2019, data in cui quella certezza è stata pubblicamente ribaltata in modo inconfutabile». Il docente del Dipartimento di Economia etneo fa riferimento alla pubblicazione scientifica sulla rivista Archeometry

La linea di confine tra passato e presente, dunque, sta nella differenza tra probabilità e certezza. «L’errore in passato è stato di ritenere assoluta una verità approssimativa – continua lo statistico – considerato che le tecniche scientifiche dell’epoca non avrebbero potuto condurre a un esito di tale portata». Nonostante ciò, il British Museum per anni ha secretato le analisi effettuate allora dai laboratori in Arizona, a Oxford e a Zurigo. «Tre accertamenti, è vero – aggiunge Torrisi – ma tutti su tessuti di Sindone contaminati, che hanno falsato i risultati. La rivista Nature ebbe forse anche una certa fretta di convalidare, avendo impiegato soltanto due mesi. Oggi, però, la situazione è cambiata». Torrisi racconta che, assieme a Tristan Casabianca, studioso della Sindone, il team ha avuto accesso ai dati che erano stati tenuti segreti: «E così dopo più di un anno di lavoro siamo giunti a una nuova verità».

Se superare un dogma è un inizio irrinunciabile, la scoperta resta parziale. Torrisi infatti smorza gli entusiasmi: «Non ci possiamo ancora esprimere sulla reale datazione, occorrono nuove analisi». Prospettiva che però non entusiasmerebbe la Chiesa, proprietaria del tessuto. L’ostacolo potrebbe essere superabile secondo il fisico Di Lazzaro. C’è una strada alternativa: l’analisi dei fili bruciati della Sindone, recuperati dall’incendio di Chambéry del 1532. «Le bruciature di quel rogo bucarono il lino originario. Nel 2002 queste parti furono staccate e conservate separatamente. Usarle avrebbe un duplice vantaggio: analizzare il tessuto meno contaminato senza rimaneggiare la Sindone»Paradossalmente, aggiunge Di Lazzaro, le bruciature «proteggono il tessuto dagli agenti che nel tempo lo contaminano e, in particolare, da antitarme come timolo e naftalina, utilizzati verosimilmente per la conservazione della Sindone».

L’attendibilità delle analisi dipenderebbe poi dalla quantità di carbonio 14 ritrovata nel tessuto, grazie alla quale si può risalire alla morte di qualunque materiale organico, lino compreso. Trattandosi di una pianta, la morte coincide con il momento della raccolta. Per calcolarne l’età esatta occorre quantificare il carbonio assorbito dall’atmosfera, che decade molto lentamente nelle entità senza più vita, addirittura in migliaia di anni. «Contando gli atomi di carbonio residuati sui fili bruciati della Sindone si potrebbe finalmente risalire alla sua datazione, trattandosi di fatto di fibre incontaminate dal 1532», conclude il ricercatore.

Antonia Maria Arrabito

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