La particella di Dio «è quasi una certezza» La diretta del Cern vista all’ombra dell’Etna

«Io c’ero». E’ questa la sensazione che accomuna i ricercatori del Gruppo I della Sezione dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare di Catania nel giorno in cui viene proclamata «una scoperta sensazionale». Il bosone di Higgs, la particella che spiegherebbe il concetto di massa alla base della nostra esistenza, «è quasi una certezza» dice il professore Sebastiano Albergo, ricercatore etneo e docente di Fisica delle particelle all’Università di Catania.

«E’ certo che abbiamo trovato un bosone. Che sia quello di Higgs potremo saperlo con certezza tra circa un anno, quando avremo accertate alcune caratteristiche», spiega il professore. «E’ come vedere una persona di spalle in lontananza. Si riconosce ma serve avvicinarsi per avere la certezza che sia quella che pensiamo», continua il docente. «Si tratta comunque di un risultato straordinario. La scoperta di una particella rara che rappresenta un importante passo avanti nella conoscenza dell’uomo».

La cosiddetta particella di Dio, «il pezzo mancante al modello standard sull’architettura della natura. Quello che spiega di cosa siamo fatti e cosa ci tiene assieme», ha detto, emozionata, la professoressa Alessia Tricomi, uno dei fisici catanesi che sin dall’inizio delle ricerche, nel 1994, ha collaborato con il gruppo di lavoro del CMS di Catania. Una decina di persone tra cui cinque professori del dipartimento di Fisica e astronomia dell’Ateneo e tecnici che, orgogliosi del loro piccolo ma importante contributo, questa mattina hanno ascoltato la proclamazione del risultato raggiunto dopo vent’anni di ricerca.

A parlare dal Cern di Ginevra sono stati i responsabili degli esperimenti, Fabiola Gianotti di Atlas e Joe Incandela di Cms (due dei sei rivelatori di particelle progettati e utilizzati per l’acceleratore di particelle del CERN in Svizzera). La notizia, al termine di due intense ore di illustrazione delle ricerche, è arrivata intorno alle 11 esplodendo in un applauso collettivo dalla città svizzera a quella etnea. Dove, nell’aula magna del dipartimento di Fisica, in molti esperti del settore, tra giovani studenti e ricercatori, si sono riuniti per ascoltare la conferenza in diretta web dalla Svizzera.

«Sono consapevole che la maggior parte delle persone in questo momento ha problemi e preoccupazioni di altro tipo. Come il sostentamento quotidiano, la mancanza di lavoro che si sovrappongono alla capacità di conoscenza e progresso insite nell’uomo», ammette il professor Albergo. «Ma per chi lavora in questo settore c’è l’impressione di aver contribuito ad una scoperta molto importante. E questo ci gratifica molto», continua il docente.

Un obiettivo che, da un lato soddisfa quanti da anni collaborano da Catania a questa ricerca. E dall’altro torna a far discutere sulla crescente percentuale di cervelli in fuga dal nostro Paese. «Purtroppo non esistono giovani al di sotto dei quarant’anni nel nostro gruppo di ricerca», ci dice Sebastiano Albergo. «Le risorse a disposizione dell’Università e della ricerca scientifica non consentono a questa generazione di progredire. Così i più giovani, quando raggiungono un’età i cui hanno bisogno di stabilità economica, vanno via». Tanti i ricercatori italiani all’estero, tra cui molti catanesi meritevoli. «Due giovani fisici che hanno lavorato con noi a questo progetto di ricerca oggi si trovano in Svizzera e lavorano per altre istituzioni», racconta il docente. «Qui per loro non ci sarebbe stata possibilità di lavoro. Per fortuna all’estero sì», continua. «D’altronde la ricerca è un po’ come la musica. Se la si sa suonare è uguale in casa come all’estero. Ma si suona dove viene apprezzata».

Federica Motta

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