Abbiamo ascoltato con crescente stupore e non lieve indignazione l’intervista del 15 gennaio rilasciata da prof. Antonino Recca a un’emittente televisiva privata. È doveroso rispondere non certo per spirito polemico né per esigenze di stampo personalistico, ma unicamente per ristabilire chiarezza, precisione e correttezza di fronte a una serie di valutazioni da lui espresse che mistificano sul passato per interessi legati al presente elettorale, e soprattutto perché ci sta a cuore il futuro di un Ateneo spesso trascinato da una gestione improntata a logiche autoritarie e clientelari in un clima non consono a un’Istituzione di alta cultura.
Andiamo in ordine. Recca, lui moderato, sostiene che con la cosiddetta estrema sinistra non si può governare, e apporta come esempi comportamenti del past prorettore Antonio Pioletti, del past preside della Facoltà di Lingue, Nunzio Famoso, e del past delegato Luciano Granozzi, e rivela, a modo suo, il vero motivo della rottura con Antonio Pioletti. Aggiunge altresì, da vero democratico rispettoso delle opposizioni, valutazioni fantasiose e poco serie sul ruolo del Coordinamento Unico di Ateneo che non da ora esprime serie e documentate critiche alla sua gestione e decide, nonostante tra l’altro diversi dati scaturiti da elezioni interne all’Ateneo, che rappresenterebbe l’1×1000 dei docenti (peccato che il CUdA abbia raccolto, nelle ultime elezioni, oltre trecento voti per i suoi candidati, ovvero circa un terzo dei docenti dellAteneo. Ah, la matematica!).
Prima precisazione: Recca e Pioletti sottoscrissero un accordo programmatico NON fra schieramenti politici, ma su un metodo di gestione dell’Ateneo e su alcuni contenuti di fondo: la cosiddetta estrema sinistra non c’entra proprio niente; ragiona diversamente solo chi, come Recca appunto, ha avuto e ha una visione, dimostrata dai fatti, del tutto politicista della gestione dell’Ateneo. Antonio Pioletti, da prorettore, ha tenuto sempre un comportamento di massima lealtà e correttezza improntate ad assoluto disinteresse e ad attaccamento all’istituzione, anche quando non ha condiviso alcune scelte. I motivi della rottura sono relativi non al cosiddetto “debito” della Facoltà di Lingue (sul quale in seguito si darà l’ennesimo chiarimento), ma all’insofferenza dimostrata da Recca nel collaborare con un collega che non fosse un passivo e silente “signorsì” e che dimostrava nei settori per i quali era delegato (relazioni sindacali e internazionalizzazione) fedeltà all’accordo programmatico e capacità gestionali unanimemente riconosciute ieri e oggi. I motivi della rottura, c’è da aggiungere, sono stati dovuti anche, e forse soprattutto, all’esigenza di Recca di dare un contentino a una collega non eletta nel Consiglio d’Amministrazione. Se la causa fosse stata la situazione finanziaria di Lingue, perché mai Recca ebbe a insistitere su Pioletti perché tenesse le deleghe (che tenne solo per portare a termine iniziative già intraprese e che poi lasciò) e tornasse comunque a fare il Preside di Lingue (scelta ovviamente rifiutata in vista della riconferma del Preside Famoso?).
Recca sostiene che il primo litigio fra lui e Pioletti (che invero non ci fu) fu dovuto alla candidatura a sindaco del prof. Famoso: mistificazione veramente grottesca, in primo luogo perché il prof. Famoso non ebbe a candidarsi (infondate furono le notizie di stampa) e in secondo luogo perché se anche ciò fosse avvenuto, non si vede per qual motivo questo non fosse un diritto del prof. Famoso e, in ogni caso, in che cosa una scelta siffatta potesse coinvolgere il prof. Pioletti che ha sempre improntato i suoi rapporti con i colleghi con i quali si è trovato a collaborare ai valori del rispetto reciproco, del dialogo e della ricerca della condivisione delle scelte e non alla cieca obbedienza E poi, da quale pulpito viene la predica? Il prorettore Pioletti non aveva nessun imbarazzo nel corso della presenza dell’on. Marini nel corso di un’inaugurazione dell’anno accademico (Teatro Massimo): anzi, si adoperò perché, nel momento in cui si teneva una manifestazione giovanile di protesta, essa si svolgesse nell’ambito di una civile forma di contestazione, come avvenne.
Altrettanto grottesche e ridicole le altre mistificazioni di Recca: il prof. Famoso avrebbe criticato il Governo Prodi di fronte a un suo rappresentante, Luciano Modica? Si trattava invero, se non ricordiamo male, di Giovanni Ragone, consulente del Ministro Mussi, e il prof. Famoso fu interrotto con modi a dir poco rozzi da Recca nel corso di una pacata riflessione che poneva i problemi aperti per le sorti dell’Università pubblica, o forse il modello Recca è quello di una supina accettazione delle politiche governative, come ha dimostrato in occasione della devastante Legge Gemini i cui effetti deleteri sono oggi oggetto delle lacrime di coccodrillo della CRUI? E che dire del prof. Granozzi, che da delegato ai Circuiti culturali ha contribuito a realizzare apprezzatissime iniziative culturali nelle Facoltà con il plauso di Presidi e docenti di tutti gli orientamenti, colpevole di aver spalleggiato una contestazione a Buttiglione? Pure invenzioni strumentali.
Seconda precisazione: il cosiddetto “debito” della Facoltà di Lingue. Qui la mistificazione si accompagna a una pervicacia degna di miglior causa. La Facoltà di Lingue, a Catania e a Ragusa, è nata per scelta lungimirante del Rettore Rizzarelli e dell’allora Preside di Lettere Giarrizzo. Si comprendeva allora fino in fondo il ruolo strategico dell’importanza delle conoscenze delle lingue e delle culture straniere per i nostri giovani e i nostri territori. Il Rettore Latteri condivise questa scelta e su essa puntò, tenendo conto di una stortura strutturale che segnava la nascita della Facoltà, cioè l’essere priva del contributo del Fondo di Funzionamento Ordinario (FFO) essendo sorta dopo l’approvazione delle Legge sull’autonomia: Lingue per quasi otto anni è stata costretta a ricevere solo una parte minima del contributo tasse a fronte dei costi relativi a una didattica (lettori a tempo indeterminato e determinato, contratti, laboratori, inadempienze del Consorzio di Ragusa con il quale l’Ateneo patteggiò al ribasso un accordo, ecc.) che fosse degna di questo nome. L’Ateneo ebbe ad anticipare parte dei costi e non a caso riconobbe il diritto di Lingue di godere dell’assegnazione dell’FFO, inclusi gli arretrati. Recca stesso riconobbe questo diritto e varò un piano di rientro delle anticipazioni: siamo nel 2007 (come si vede la rottura con Pioletti non ebbe a riguardare minimamente questi aspetti). La Facoltà di Lingue ha sempre posto con chiarezza ai Rettori succedutisi le esigenze di un adeguato finanziamento a fronte del boom delle iscrizioni studentesche e della relativa cospicua quota finanziaria proveniente da tasse e contributi venuta all’Ateneo. Di tutto questo è stato fatto, e si continua, a quanto pare, a fare, un uso del tutto strumentale fino al tentativo, finora non riuscito e dovuto a presbiopia e miopia culturali, di chiudere a Catania finanche i Corsi di Lingue. E di tutto questo è stata prodotta pubblica spiegazione dello stato delle cose (si veda il documento “Di Catania e di Ragusa. Lettera aperta alla comunità universitaria”), a differenza di quanto avvenuto in occasione della controversia con la Kore di Enna (c’era di mezzo la Facoltà d’Ingegneria, Preside Recca), persa dall’Ateneo con danni per una cifra che aggira fra i 15 e i 20 milioni di euro. Con una differenza: che le anticipazioni dell’Ateneo nel caso della Facoltà di Lingue si sono verificate per erogare un servizio, e non per non averlo appropriatamente erogato
Non vorremmo più tornare su questi argomenti, vogliamo pensare al futuro del nostro Ateneo, vogliamo lavorare per voltar pagina. Lo Statuto approvato dagli organi di governo dell’Ateneo è infatti uno dei peggiori d’Italia, monocratico e segnato da una centralizzazione amministrativa che sta creando guasti profondi. La dislocazione delle risorse, sottoposte checché se ne dica a tagli lineari, penalizza servizi essenziali. Lasciamo volentieri al politicismo del candidato Recca ricostruzioni ed etichette di comodo, ben sapendo che intere Regioni d’Italia sono state governate da quelli che lui chiama “estremisti di sinistra” con successi ben superiori a quelli registrati da coloro che lui chiama “moderati”. Un’etichetta, quest’ultima, che non vuol dir niente.
Nunzio Famoso e Antonio Pioletti
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