La fine della «fortezza volante», un mistero che i fondali di Palermo custodiscono da oltre 70 anni, ma che presto potrebbe essere svelato. All’Arsenale della Marina Regia di Palermo è stato presentato ufficialmente il ritrovamento dell’aereo da bombardamento modello B17 utilizzato dagli Stati Uniti d’America durante la II Guerra Mondiale, individuato il 29 settembre a 75 metri di profondità sotto il mare del capoluogo siciliano.
L’associazione Ombre dal Fondo, infatti, ha documentato e portato alla luce il materiale necessario all’identificazione del velivolo con l’ausilio dei vigili del fuoco e della guardia costiera. La sala al primo piano dell’Arsenale è gremita di addetti ai lavori e curiosi. La sensazionale scoperta del relitto del B17 della II Guerra Mondiale ha scosso positivamente istituzioni e studiosi che, distanza di quasi 100 anni, ipotizzano sulle cause dell’ammaraggio di un velivolo considerato impossibile da abbattere, e per questo chiamato «fortezza volante».
Divenuto una sorta di barriera corallina artificiale, il relitto dell’aereo scomparso riporta a galla la memoria dell’evento più tragico dello scorso secolo. Il 1943 ha visto scomparire nel nulla questo gigante dei cieli nel corso di un bombardamento su Palermo. Erano circa le 14 del 18 aprile, quando dall’Africa partirono decine di B17 con l’intenzione di sganciare 150 tonnellate metriche di bombe sull’aeroporto di Boccadifalco, sul porto e sulla stazione centrale. I documentaristi affermano che il tratto ferroviario è stato devastato così profondamente che, ancora oggi, non è stato ristabilito il traffico degli anni ’40. Secondo i bollettini ufficiali, quell’attacco ha causato «appena» 33 morti e 99 feriti, questo perché a Palermo si sapeva quando era il momento di scappare, si sapeva quando gli americani avrebbero lanciato le loro bombe. Il 131esimo aereo del 97esimo gruppo di velivoli alleati però, ad un certo momento, scompare nel nulla. Divergono le versioni dei testimoni, c’è chi afferma di averlo visto tentare di rientrare in Africa e chi dice di averlo visto dirigersi verso un obiettivo diverso da quello assegnato ai 9 componenti dell’equipaggio.
Per lo storico Alessandro Bellomo, coinvolto nelle ricerche, una delle possibili cause della caduta del velivolo sarebbe stata un errore umano. «Era in uso la procedura di indossare le maschere di ossigeno puro durante le fasi di attacco – spiega – l’indossare male tali maschere o un’ossigenazione non ben regolata poteva causare svenimenti e perdita di orientamento. Possibilmente i piloti hanno tentato un ammaraggio per far scendere il resto dell’equipaggio e salvarlo». Ciò spiegherebbe la misteriosa caduta del gigante dei cieli, progettato per resistere alle scariche complete delle mitragliatrici di due aerei da guerra. «Il relitto non presenta segni di mitragliatrici né di bombardamenti, del resto è considerato impossibile da abbattere» conclude.
Il tratto di mare che è stato teatro del ritrovamento sarà presto sottoposto a vincolo, in modo da evitare danni che la pesca a traino o ancore potrebbero causare al relitto. L’Arsenale, invece, sarà presto trasformato in un Museo del Mare dove si spera di poter allestire un’ala dedicata anche a questo ritrovamento. «Ancora impossibile parlare di un recupero», conclude Sebastano Tusa.
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