«La fiction italiana di oggi? Sempre meno finzione e sempre più realtà». Così la docente di teorie e tecniche del linguaggio radio-televisivo dell’Università La Sapienza di Roma, Milly Buonanno, introduce il tema di cui si è discusso lunedì al Coro di notte del Monastero dei Benedettini: “La fiction italiana. Dall’adattamento letterario all’adattamento dei format”.
«Mai come oggi la fiction attinge dalla realtà, ma non è sempre stato così», spiega la docente romana. La televisione si trasforma con il passaggio dal monopolio RAI degli anni ‘50, all’avvento della televisione commerciale nella seconda metà degli anni ‘70, con la nascita del duopolio Rai-Mediaset. L’incontro, organizzato dal dipartimento e dal dottorato di ricerca di Filologia moderna, dal dottorato in Storia e dal corso di laurea di Scienze delle Comunicazioni della Facoltà di Lettere di Catania, si è trasformato in una vera e propria lezione di tecnica della comunicazione. Obiettivo: tracciare un excursus dei format televisivi, dagli esordi come sceneggiati alle grandi produzioni industriali odierne.
«Negli anni ’50, definiti età dell’oro, lo “sceneggiato” aveva una funzione eminentemente didattica. La televisione italiana aveva tra le sue fonti soprattutto la letteratura straniera: Balzac, Tolstoj, Dickens. I prodotti autoctoni erano pochi – sottolinea la docente – ma di buona qualità, e permettevano a chiunque di creare un piccola biblioteca personale».
Nel raffronto con i modelli televisivi internazionali, viene poi evidenziato come il sistema italiano venisse considerato agli antipodi rispetto a quello americano. Se la produzione televisiva italiana si caratterizzava per l’assenza di serialità e per i contenuti prevalentemente letterari, oltre oceano si preferiva, invece, compiacere i grossolani gusti popolari.
La relatrice continua spiegando che a partire dalla seconda metà degli anni ‘70, con il raddoppiare dei canali televisivi a disposizione, si è verificata una vera e propria emergenza contenuti, per la quale si è cercata nella vita quotidiana una soluzione. Da qui il moltiplicarsi di reality e serie tv con famiglie allargate (“Un medico in famiglia” e “I Cesaroni” ne sono un esempio) che rappresentano una versione attuale e standardizzata del modello familiare stile “Mulino bianco”. La televisione italiana è diventata quella con il più alto tasso di importazione di format stranieri e dello sceneggiato si è persa ogni traccia, anche a causa degli elevati costi di produzione.
Grande spazio ha dunque la fiction, che, dagli anni ’90, è diventata un vero e proprio apparato industriale aperto alla linea della serialità. L’osservatorio della fiction italiana (OFI) fondato dalla stessa Buonanno nel ’98, si propone di realizzare un monitoraggio completo e sistematico, qualitativo e quantitativo, della fiction televisiva italiana. Il tentativo, come lei stessa ormai tanto rilevante nel vasto panorama della comunicazione.
Si ripresenta, dunque, il consueto dilemma: la televisione dovrebbe rispondere alle istanze della società e rifletterne il mosaico culturale, o dovrebbe invece delineare un modello? Insomma, è evidente che l’Italia non sia più quella delle lezioni serali del maestro Manzi, che con “Non è mai troppo tardi” trasformava i tavoli da cucina in banchi di scuola, alfabetizzando un paese ancora scarsamente scolarizzato. I programmi televisivi dallo scopo didattico sono ormai riservati agli irriducibili telespettatori della seconda serata. E il resto del palinsesto?
Un cantautore, concittadino della stessa professoressa Buonanno, ha presentato di recente, al Festival della canzone italiana, un motivetto che ironicamente ringrazia la premier dame francese e altri personaggi da rotocalco, senza i quali le argomentazioni dei nostri programmi televisivi languirebbero. Gossip, reality, fiction d’importazione. Perché si sa, la televisione deve anche intrattenere.
Link:
http://www.campo-ofi.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Milly_Buonanno
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