La Catania del Rock: Theramin

La Indigena Records è, un’etichetta indipendente, un piccolo negozio di musica, ma anche un luogo dove i musicisti possono incontrarsi per scambiare quattro chiacchiere, confrontare le proprie esperienze musicali, condividere la comune passione per la musica.  
Locandine e foto di concerti, musica come sottofondo, rendono accogliente l’ambiente dove abbiamo incontrato Sacha Tilotta, batterista dei Theramin, trio catanese nato nel 1998, di cui fanno anche parte Stefano Garaffa Botta (cantante e chitarrista) e Michael Hermann (bassista). Nel 2004 hanno pubblicato il loro primo album: “We were gladiators” per l’etichetta Psychotica / Goodfellas rec.
Il pomeriggio trascorre velocemente, parlando della scena musicale catanese e delle sue potenzialità, il paragone con Seattle, ma soprattutto dei Theramin, delle loro esperienze e dei loro sogni.

Sacha, esistono, secondo te, i presupposti per paragonare Catania a Seattle?
Quando si parla di Seattle, si parla di un’identità musicale ben precisa, di una scena musicale matura, dove vi sono spazi di aggregazione per musicisti, dove si è riuscito a creare un sistema di collaborazione attorno al quale ruotano e collaborano tutti i soggetti culturali del territorio: musicisti, radio, stampa, università, privati, istituzioni
Qualcuno ha provato a creare qualcosa di simile a Catania. Però si è rimasti sempre ad un certo livello. Non si è arrivati mai fino in fondo, per esempio a decidere di aggregarsi per fare qualcosa tutti insieme.

Chi sono i Theramin?
I Theramin sono tre amici che nel 1998 hanno deciso di intraprendere questo percorso solo per il sano piacere di suonare insieme. Tutti e tre venivamo da esperienze musicali in gruppi famosi nel panorama underground catanese e le motivazioni che ci hanno spinto a suonare insieme sono state solamente per il piacere di stare insieme.

Qual è stato il percorso che avete seguito insieme dal 1998 al 2004, anno di pubblicazione dell’album?
Abbiamo suonato tantissimo. Credo che l’unico modo per fare passi avanti sia riuscire a suonare dal vivo. Suonare dal vivo ci ha permesso di crescere e di migliorare a livello musicale e di cercare di creare, quanto più possibile, una nostra identità e di esprimere in fondo noi stessi. Abbiamo fatto tanti concerti a Catania e fuori Catania. Siamo stati in tour con gruppi storici del panorama indipendente internazionale: Don Caballero e June of 44, ma anche con gruppi italiani.
Molti ci chiedono come mai ci siano serviti sette anni prima di fare un disco. In realtà il disco per noi non è un punto di arrivo è solo un punto di partenza.

Oppure il punto di arrivo del vostro percorso di sette anni?
Certamente. L’album non è altro che l’esperienza acquisita fino ad oggi. Da qui abbiamo messo un punto per ripartire. Attenzione però, perché moltissime persone pensano che sia il gruppo a supportare l’album, invece è il disco a supportare il gruppo. Il gruppo va vissuto e sentito dal vivo per capirne la natura. Perché senza particolari difficoltà, con piccoli trucchi, un disco carino lo possiamo fare tutti. Ma suonare dal vivo, suonare un bel concerto, trasmettere qualcosa alla gente è tutta un’altra cosa.

Cosa volete trasmettere alla gente che vi ascolta?
Semplicemente il nostro modo di essere,  cercando  di dare quanta più gioia possibile alla gente che ci viene a sentire. Non siamo un gruppo politico che porta avanti un’idea, portiamo avanti noi stessi.

Cosa ha caratterizzato l’incisione dell’album?
Abbiamo penato tanto per registrare questo disco. L’abbiamo registrato a casa mia, abbiamo chiamato il violinista dei Mashrooms e il chitarrista degli Uzeda. Perché riteniamo che, anche il disco deve essere un momento di collaborazione con i nostri amici e di condivisione delle varie esperienze musicali.

Avete partecipato al progetto “Catania Whisting Dixie band”. Di cosa si tratta?
E’ stato un bellissimo workshop a cui abbiamo preso parte noi Theramin e altri sette musicisti catanesi provenienti dalle più svariate esperienze musicali, dal conservatorio all’underground catanese. Un laboratorio patrocinato da Officine, la cooperativa che gestisce il centro culturale Zo e organizzato da David Grubbs, musicista a livello internazionale. E’ durato una settimana in cui Grubbs ci ha istruiti sull’improvvisazione. Dopo questa settimana di prove siamo andati in studio di registrazione in cui per dieci giorni non abbiamo realizzato altro che un lavoro di improvvisazione. Secondo me, pur avendolo registrato in pochissimi giorni, è risultato un bellissimo album. I proprietari della registrazione non siamo noi, ma è Officine e purtroppo, per motivi ignoti, ancora l’album dopo due anni non è uscito.

Il locale della loro ultima esibizione catanese è stracolmo, la musica, amara e segreta, è accompagnata dalla proiezione di scene urbane confuse da allucinogene brillantezze. La città bisbiglia, si lascia tentare e trasforma la speranza in desiderio, poi in sogno ed infine in sotterranea amarezza. 

Riccardo Consoli

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