La capitale della cultura cede lo scettro, cosa rimane? «Si poteva fare molto di più, la vera sfida sarà il 2019»

«La cultura deve essere segreta». La provocazione di
Giorgio Gaber, che si trova non a caso nell’album intitolato Un’idiozia conquistata a fatica, ha compiuto 20 anni. Ed è venuta in mente spesso, per mera contrapposizione, di fronte all’uso (e all’abuso) della parola cultura che si è fatto a Palermo nel 2018. La città quest’anno si è consacrata capitale della cultura, grazie al riconoscimento del Ministero dei Beni Culturali e a un finanziamento di poco più di un milione di euro. Al di là della cifra economica la designazione governativa ha messo in moto un vero e proprio fermento all’interno del Comune siciliano. I cui numeri vengono snocciolati in maniera trionfante dall’assessore al ramo Andrea Cusumano.

«L’organizzazione
Human Foundation da Roma sta facendo una valutazione con dati certi, ma dal punto di vista politico possiamo certamente dire che quest’anno è stato una scommessa vinta – afferma l’esponente della giunta Orlando – C’è stata una felice collaborazione tra oltre 40 partner istituzionali, un grande fermento delle associazioni che si occupano di cultura e che ha consentito una programmazione integrata. Ricordo poi gli oltre 2400 articoli dedicati al tema, i 45 festival che si sono tenuti quest’anno, i grossi incrementi di turisti: basta guardare i dati dell’aeroporto Punta Raisi che per il 2018 ha registrato oltre sei milioni e mezzo di visitatori, in parte dovuti proprio all’offerta culturale».

Nel passaggio di testimone a
Matera per il 2019, il titolo di capitale della cultura ha consentito dunque, secondo l’ottica del Comune, di creare una vera e propria rete sinergica. Un modello che non a caso è stato discusso il 28 dicembre scorso, con la giunta che ha approvato l’atto di indirizzo proposto dallo stesso Cusimano. E che nel 2019 vuole attivare il progetto Palermo CulturE (declinate dunque al plurale e non più al singolare), per «garantire continuità al sistema integrato di relazioni inter-istituzionali» e al «modello di governance al fine di continuare e mantenere il percorso avviato con Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018».

«È stata riconosciuta la 
programmazione punteggiata di quest’anno – sostiene l’assessore – che dovrà poi entrare a pieno regime in una dimensione strutturata per poter continuare efficacemente nel tempo, attraverso strumenti come il portale integrato (sul quale siamo in dirittura d’arrivo) e la biglietteria integrata di cui è in pubblicazione l’avviso. Si punta cioè a promuovere la città e quello che già offre, capitalizzando i notevoli risultati ottenuti quest’anno».

Ma davvero il quadro è così lindo e lieto come lo dipinge Cusumano? Certamente il 2018 è stato caratterizzato da una
serie continua e pressoché ininterrotta di eventi culturali e artistici, contraddistinti da una discreta qualità media. Eppure alcuni festival come il Main Off e la rassegna cinematografica Esco sono saltati mentre altri come il Teatro Bastardo sono stati ridimensionati. E la quantità non sempre ha fatto rima con qualità. La sensazione, a detta degli stessi operatori culturali che hanno fatto emergere i propri dubbi a settembre in un incontro pubblico al cinema De Seta, è che siano arrivate migliaia di proposte quest’anno. Che ci sia stata una gara ad accaparrarsi il logo della capitale italiana della cultura, e che questo sia stato concesso a troppi. Più volte il sindaco Orlando ha parlato di eccellenze, e forse avrebbe dovuto concentrarsi sulle eccezioni. Il rischio insomma è che il 2018 sia stato un anno di eventi, un mega eventificio, neanche poi così grande a livello di risonanza nazionale e internazionale.

Ecco perché
MeridioNews ha chiesto un commento sul 2018 che volge al termine, narrato come un possibile anno zero o come un’occasione mancata, agli stessi operatori culturali della città. Piccoli o grandi che siano, ciascuno con una prospettiva personale o collettiva. «Per il Teatro Biondo è stato un anno trionfale – afferma il direttore Roberto Alajmo – che si è concluso nel migliore dei modi con gli ultimi quattro spettacoli che hanno registrato il tutto esaurito e un successo di critica. Abbiamo poi avuto nel 2018 un incremento del 20 per cento degli abbonati, quindi di certo è stato per noi un anno positivo in tutti gli aspetti. Sotto il profilo culturale in generale la città ha risposto bene alle luci dei riflettori ed è riuscita ad affermare il proprio nome, complice anche l’exploit di turisti dovuti in parte certamente a Manifesta».

Anche il regista e attore teatrale
Giuseppe Provinzano parte da sè per arrivare al noi. «Personalmente, e intendo con l’associazione Babel – dice – il 2018 è stato un anno super: abbiamo aperto lo Spazio Franco ai Cantieri, siamo diventati una compagnia riconosciuta dal ministero, abbiamo vinto il premio nazionale Migrarti. Ma in tutti queste soddisfazioni il Comune di Palermo c’entra fino a un certo punto». Per Provinzano insomma «quest’anno si è fatto bene, certamente si poteva fare molto di più ma la vera sfida è quel che succederà nel 2019. Fare cultura nell’anno della capitale della cultura – continua – è stato facile per molti, sarà interessante vedere l’anno prossimo quanti ne troveremo. Il vero gap della città secondo me resta la macchina amministrativa e burocratica».

Negli scorsi giorni si è tenuta una riunione, convocata da Orlando, con gli operatori culturali della città. C’erano tutti, dai big come il
Teatro MassimoLe Vie dei Tesori ai tanti infaticabili promotori quotidiani di cultura. In quell’incontro il sindaco ha affermato di non voler finanziare più i progetti culturali al cento per cento. Col Comune che diventerebbe insomma cofinanziatore e non più unico mecenate: un modello imperante in Europa, già diffuso in Italia, che comincia a prendere piede anche alla Regione e che vede Palermo ancora in ritardo. «In questa proposta io sto col sindaco – afferma Provinzano -, è troppo facile essere appoggiati politicamente, presentare un progettino che il Comune compra al 100 per cento e fare la propria operazione culturale. La vera crescita dunque si vedrà adesso. Intendiamoci: il Comune ha tutte le ragioni a finanziare interamente progetti, ma che almeno siano propri e non di una singola persona o associazione. Molti operatori culturali che abbiamo visto nel 2018 non si erano mai visti prima. È successo in grande quello che succedeva negli anni scorsi col bando di Natale: all’improvviso tutti fanno teatro, tutti fanno cultura, tutti fanno arte. E chi lo fa quotidianamente si trova a concorrere contro troppi».

E i Cantieri della Zisa, che la cultura la portano sin nel nome? «Il Comune ha dato
ascolto a chi questo mestiere lo sa fare, non è che abbia fatto molto altro» dice Provinzano. E il riferimento è per esempio alla carenza di servizi che i Cantieri continuano a scontare e che si sperava potessero essere forniti in un anno così importante: una navetta ad hoc, un’adeguata illuminazione, un impianto di videosorveglianza. «Questo avrebbe dovuto fare – concorda Provinzano -. Dal furto che abbiamo subito a settembre siamo ancora senza sorveglianza notturna. Le compagnie che si rivolgono a noi ci raccontano che il Comune mette unicamente a disposizione gli spazi, e nient’altro».

Accuse che vengono in parte respinte dall’assessore Cusumano. «È indubbio che ai Cantieri della Zisa vi sia stata
un’accelerazione notevole – afferma – appena cinque anni fa non c’era quasi nulla, mentre oggi gli spazi recuperati costituiscono la maggioranza dei padiglioni dell’ex officine Ducrot. Entro febbraio poi altri tre spazi saranno attivi. Certamente è un percorso che necessita di ulteriori sforzi, i Cantieri sono un modello pilota di quello che il Comune intende attuare attraverso una programmazione pubblico-privato. Abbiamo poi avuto diverse riunioni per la cogestione, stiamo lavorando a un’associazione di associazioni col Comune che rimane proprietario degli spazi. Col nuovo anno poi il sogno è quello di abbattere i muri perimetrali dei Cantieri, per consegnare alla città un vero e proprio parco culturale, che sia un luogo di attraversamento e di passaggio per il quartiere».

Andrea Turco

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