I siciliani ad Amazon, moderni elfi di Babbo Natale «Qui controllano tutto, ma il bello è che c’è il mondo»

La cosa più bella? «Siamo come una grande mela, gente di tutti i tipi, di tante nazionalità. Amazon dà un’opportunità a tutti, in questo enorme magazzino ho visto chi aveva sofferto davvero tanto ritrovare la serenità». La più brutta? «Le cazziatone dei responsabili se cali la produttività, il fatto che anche quando vai a fare la pipì loro sanno quanto tempo stai sottraendo al lavoro».

Giorgia e Salvo sono siciliani e sono giovani. Da cinque anni lavorano per Amazon in uno degli stabilimenti che la multinazionale americana ha aperto in Italia: Roma, Torino, Piacenza, Vercelli e Bergamo. In totale oltre cinquemila dipendenti. I nomi sono di fantasia perché raccontare come si svolgono le loro giornate – nell’azienda che fa della produttività, ma anche del senso di appartenenza i prinicipi cardine – rischia di esporli a più di un rimprovero. 

«Io non sputo nel piatto dove mangio – spiega Giorgia – qui non ci sono condizioni disumane: prendo 1.300 euro netti al mese, lavoriamo cinque giorni su sette, otto ore al giorno. Dalle sette alle 15, o dalle 15.30 alle 23.30. Nelle feste sei giorni. Ho tredicesima e quattordicesima, i caffè gratis e i buoni pasto. Ma qui non cresci. Anzi, loro ti illudono che puoi farlo e per questo ti chiedono ogni giorno di fare di più. Ma la verità è che quello che faccio io lo potrebbe fare pure una scimmia ammaestrata». Pure Salvo mette le mani avanti: «Prima di arrivare ad Amazon, ho fatto tanti lavori: in fonderia, nei supermercati, in ditte di trasloco. Qui sto col condizionatore d’estate e l’aria calda d’inverno. Certo, non ti dà soddisfazione e non ti insegna nulla. Ma ti dà sicurezza. Non è certo come in Sicilia, dove amici miei rimasti giù vengono pagati una sera trenta euro, quella dopo 25 e un’altra ancora 15, in base a come va la serata». 

Salvo se n’è andato presto dal suo paese che guarda il mare in una delle province occidentali dell’isola. Ma continua a fare sali e scendi in estate e per le feste. «In 30 anni da pendolare la Sicilia non l’ho vista cambiata, solo i piccoli miglioramenti veramente necessari e molto a rilento». Anche Giorgia, che viene dall’altra parte dell’Isola, ha passato gli ultimi 15 anni della sua vita a Nord. E di tornare non vuole sentir parlare. Entrambi sono arrivati ad Amazon un po’ per caso, quando ancora in Italia di acquisti online non se ne facevano molti. «Quando mi hanno detto che un’azienda di e-commerce cercava dipendenti non sapevo neanche come funzionasse – ricorda Giorgia – ho portato comunque il mio curriculum in agenzia interinale e dopo qualche giorno mi hanno chiamata. Dovevano aumentare il personale nel periodo natalizio».

Già, perché per Amazon il Natale è il picco più alto dell’anno. I moderni elfi si moltiplicano, ne vengono assunti centinaia in più. E si aggiunge un giorno alla settimana di lavoro. Il 25 e 26 dicembre, e l’1 gennaio lo stabilimento chiude. Sono quattro i processi in cui i lavoratori sono impegnati: ricevere dai fornitori, stoccare negli scaffali, prelevare la merce e impacchettare. «Se parliamo di pezzi singoli – spiega Giorgia – in un’ora ne impacchetto almeno 150». «In una giornata – fa i conti Salvo – prendendosela tranquillamente, arriviamo a 750 pacchi». Durante le feste il reparto dei pacchi regalo viene rinforzato. «Il cliente paga qualcosa in più e quindi serve la massima attenzione – continua la ragazza – e per noi è un bene perché il lavoro si umanizza un po’, diventa meno meccanico, dedichiamo alle cose il giusto tempo. In un’ora ne riesci a fare una cinquantina». 

Nella testa dei dipendenti e nel sistema che li controlla, attraverso i badge e le pistole scanner, scorrono numeri. Quelli dei chilometri percorsi tra gli scaffali del magazzino e quelli dei pacchi trattati a fine giornata. «Abbiamo dei target da rispettare per la giornata e per la settimana, ma a me ormai questa storia della produttività non pesa più», spiega Salvo. Stesso distacco mostra Giorgia, che però precisa: «Il controllo è su tutto. Vedono quanto tempo sto ferma, quanto rimango in bagno, quanti pacchi prelevo, quanti ne confeziono. Se le cose vanno bene, il merito è di tutti. Se vanno male, mi vengono a chiedere qual è il problema. In compenso – conclude la giovane siciliana – qui c’è il mondo. Ho incontrato persone che sono scappate dalla guerra, vedove rimaste sole e tornate a lavorare, persone con enormi problemi in famiglia. Ecco, io che mi lamento poi mi ritrovo davanti queste storie e tutto assume una forma diversa. E questo mi piace». Un mondo in miniatura azionato dai nostri click.

Salvo Catalano

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