Il genocidio in Darfur è un tema che nelle scalette dei media italiani stenta a farsi strada, eppure le condizioni in cui versa questa regione del Sudan è una delle più preoccupanti del continente africano. Per contrastare questo assordante silenzio è nato Italian Blogs for Darfur, un progetto del quale parliamo con Fabrizio Annarumma, coordinatore dell’iniziativa.
In cosa consiste l’iniziativa Italian Blogs For Darfur?
«E’ un movimento online indipendente che si è posto come primo obiettivo quello di far conoscere al maggior numero possibile di italiani la tragica realtà del Darfur, una regione del Sudan teatro di una delle più grandi crisi umanitarie del mondo. Sfruttando le potenzialità di internet cerchiamo di coinvolgere gli internauti nella nostra causa, invitandoli a sottoscrivere l’appello on-line per richiedere una maggiore copertura mediatica della crisi in Darfur. Ci rivolgiamo in particolare ai mezzi di informazione televisiva, che più si mostrano indifferenti a questi temi. E’ raro, infatti, assistere a servizi approfonditi sui crimini contro l’umanità che ogni giorno si registrano in Darfur, ma anche in Congo, Sri Lanka, Pakistan, Uganda… In questo senso, il fine più ampio perseguito da Italian Blogs for Darfur è il miglioramento della qualità dell’informazione televisiva italiana».
Com’è nata l’idea?
«L’idea di un movimento online per il Darfur nasce nel maggio 2006 dalle menti pruriginose di due bloggers universitari, in seguito all’ennesima constatazione di un raccapricciante intasamento dell’informazione italiana da parte delle notizie rosa e dei bollettini meteo, delle interviste ai primi vacanzieri e dei consigli per ottenere una perfetta tintarella in topless. Constatato che nessuna iniziativa per il Darfur era in corso in Italia, abbiamo pensato di dar luogo a una iniziativa che cerchi di spostare l’attenzione delle telecamere e con loro la forza dirompente e invasiva delle immagini, verso le lontane terre del Darfur, dove, nell’indifferenza generale – compresa quella dei pacifisti – si consuma un immane tragedia da più di tre anni».
Qual è la situazione odierna?
«In Darfur si continua a morire, nonostante sia stato firmato un accordo di pace tra alcune delle forze ribelli e il governo sudanese. Le stime più accreditate parlano di 300.000 morti, il più alto numero di sfollati al mondo (2 milioni) e 200.000 rifugiati. Diverse inchieste delle Nazioni Unite hanno evidenziato i crimini contro l’umanità commessi nella regione: villaggi bruciati, donne e bambine violentate, bestiame confiscato, pozzi d’acqua e coltivazioni distrutte, violenze che hanno come oggetto i neri musulmani, cattolici e animisti, colpevoli di non essere arabi. Le ultime notizie riportano di nuove minacce del governo sudanese alle forze di pace dell’Onu qualora intervenissero per porre fine alle violenze contro i civili in Darfur. Operatori umanitari e Ong sono oggi più che mai in pericolo e il loro lavoro è ostacolato dalle nuove tensioni tra le forze ribelli e il governo. Il governo sudanese è infatti direttamente coinvolto nei crimini contro l’umanità commessi in questi anni, poiché appoggia da sempre le milizie paramilitari arabe janjaweed responsabili della morte di centinaia di migliaia di civili».
Per quale motivo, secondo te, la guerra in Darfur non trova molto spazio nelle scalette dei media italiani?
«E’ evidente che il Darfur non fa audience. E’ un meccanismo perverso, quello che porta la televisione e la stampa – mi riferisco soprattutto al settore pubblico, finanziato direttamente dai cittadini – a censurare taluni argomenti, seppure drammatici, non per volontà omissiva ma per una mera logica di mercato. D’altro canto, più volte abbiamo constatato come solo il tamburo mediatico sia in grado di smobilitare le coscienze di intere nazioni in favore della difesa del diritto umanitario nel mondo. Il nostro è in effetti un Paese affetto da un radicato provincialismo, evidente per chi abbia la volontà di seguire i principali servizi di informazione straniera. Ma se da un lato questo potrebbe essere spiegato con l’assenza storica di una reale politica coloniale e da una politica estera difficilmente propositiva, dall’altro sembrerebbe ci sia un’endemica superficialità nell’interesse generale verso ciò che accade al di fuori dei nostri confini. Vi è inoltre una erronea impostazione attuale della televisione pubblica italiana: più che a un servizio di informazione, sembra assistere al mercatino dell’informazione, dove sono l’audience e il sensazionalismo a stabilire il peso delle notizie, con un’irrefrenabile tendenza al ribasso della qualità e della quantità dei temi trattati».
Cosa sperate di ottenere attraverso quest’iniziativa?
«Se dovessimo raccogliere un alto numero di adesioni, almeno 1000 firme, la nostra richiesta potrebbe trovare accoglimento, contribuendo a creare un movimento di opinione pubblica che possa contribuire alla risoluzione del conflitto in Darfur e alla promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà democratiche nel Sudan. Solo garantendo una corretta e completa informazione ai cittadini italiani si può sperare, infatti, che le istituzioni italiane si adoperino per facilitare una risoluzione politica del conflitto e per avviare una nuova era di democrazia e libertà nel Sudan.
In fondo, basta poco per dare un po’ di speranza a un sogno: una firma sotto l’appello di Italian Blogs for Darfur».
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