Si sa che l’uomo è un animale sociale che ama i suoi simili, li frequenta, ma con i quali non può fare a meno di litigare. Così questa nuova pellicola di Ficarra & Picone “La Matassa”, nasce dalla voglia di rappresentare ironicamente le liti che in tutte le famiglie italiane, in piccole o in grandi dosi, si verificano.
Questa è dunque la storia di una lite, anzi della lite. Ma costruendola, secondo voi, in un terreno fertile di battute come può essere un set cinematografico, poteva mai mancare la risata? Figuriamoci. Se poi dietro la macchina da presa ci aggiungiamo tre registi come i folli comici palermitani e un mite Giambattista Avellino, il risultato è esilarante.
Lo racconta a Step1 un signore sulla quarantina, che nella fiction fa il vigile del fuoco. Enzo è il suo vero nome e l’impiegato d’ufficio è il suo vero lavoro. Da tanti anni, però, coltiva parallelamente la passione per il teatro e per la recitazione. Così decide circa un anno fa, come tanti aspiranti attori o semplicemente appassionati di cinema, o per guadagnare qualche soldino extra, d’iscriversi a una “agenzia di casting”. Si sa che essere scelti è faticoso, sia per le parti più importanti sia per fare da comparsa. ‹‹Dunque, ti presenti con il tuo bel curriculum alla mano – racconta Enzo – foto di spettacoli già fatti, locandine…››, insomma tutto ciò che concerne il campo artistico, ‹‹e infine sottoscrivi un’autocertificazione di attore generico, incrociando le dita››. A lui non è andata male, apparso qua e là (anche se, come in tutti i mestieri, chi ha conoscenze lavora di più) ora si ritrova tra gli imbrogliati fili de “La Matassa”.
Era il ‹‹tipo fisico›› giusto per fare il vigile del fuoco, ‹‹basso e segaligno›› non lo avrebbero preso, gli hanno riferito; e poi ridacchiando ci dice ‹‹trattasi di un figurante in costume mica di una comparsa semplice (cioè un passante tra la folla, ndr)!››.
Tra le otto-dieci ore al dì, sia con due o dieci scene da presenziare, la paga è sempre quella: settantacinque euro. Quel giorno in questione ha lavorato ‹‹dalle quindici e trenta all’una di notte››, alternando i momenti di noia come ‹‹le tante lunghe pause attendendo che i montatori dessero il benestare su una scena o che si scegliesse il modo migliore per rifarla›› a quelli più esilaranti del tipo ‹‹l’espressione bizzarra di Ficarra mentre ripete per la decima volta una scena con Gioè, che non riusciva mai bene per una scelta sbagliata di passi da fare prima dell’attacco della battuta, finendo poi ‘a farsa’ tra loro e gli operatori›› all’arrabbiatura bella e buona di un meticoloso Picone che dice: ‹‹No ora basta, cerchiamo di fare i seri altrimenti da qui non ce ne andiamo!!! Ficarra annuisce sornione, come per dire ‘va bene amico mio, tranquillo, basta che non fai così’… e noi tutti a trattenerci››. Vedere Picone che non subisce è senz’altro una sorpresa. ‹‹Già, nel set non era come lo vediamo a “Striscia”, burlone e smaliziato››.
Alcune regole fondamentali – giusto l’Abc della comparsa – per non farsi buttare fuori all’istante: non indossare scarpe rumorose, stare immobile quasi senza respirare se viene richiesto, fare sempre riferimento al proprio tutor anche per andare a fare pipì e tenere bene a mente la regola fissa: ‹‹Mai allontanarsi dal set, sennò una volta fatta la nomea di inaffidabile, ti puoi scordare di rifare l’esperienza››.
Il momento del ristoro – con catering nel parco, dove girano le scene esterne, dell’antica residenza padronale di Villa Curia nel quartiere di San Leone – in questo caso è accompagnato da successivo “ammutinamento” della troupe, quasi tutta romanaccia, per guardare in tv la Roma in una partita di Coppa. Ah ecco, forse per questo hanno fatto così tardi nel girare le scene!
Ficarra e Picone erano cordiali con tutti, ‹‹ma sempre con il piglio sbrigativo di chi deve fare ancora tante cose››. E menomale, sennò altro che l’una di notte! Si è capito che ti sei divertito, ma cosa hai imparato? ‹‹Ho visto a caldo come modificano le battute, ricuciono il copione, dissipano le indecisioni…››. Con chi hai interagito di più? ‹‹Personalmente con Avellino, che mi spiegava con precisione ciò che dovevo fare e come muovermi – persona molto quadrata, gentile e professionale – e con Pino Caruso, che mi suggeriva come guardarlo e gesticolare (scena in cui mi diceva di uscire dalla stanza – ripetuta fino a mezzanotte); mi sono un po’ emozionato, devo dire, quando ad un certo punto si gira verso di me e fa: ‘Oh, dicono che va bene ma ce la fanno ripetere all’infinito, ‘sti picciotti sono troppo puntigliosi’: insomma si è confidato con me… Grandioso!››.
Per Enzo il clima che si respirava era elettrizzante: ‹‹Gli attimi in cui l’aiuto regia chiamava “scena 39, tutti gli attori in posizione, fermi così, motore…” e poi il ciakkista: “39, settima, azione!” non lo scorderò mai››.
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