Inside Man. Spike Lee, tra “genere” e arte

Titolo: Inside Man
Regia: Spike Lee
Soggetto: Russell Gerwitz
Sceneggiatura: Russell Gerwitz, Adam Erbacher
Fotografia: Matthew Libatique
Musica:Terence Blanchard
Montaggio: Barry Alexander Brown
Interpreti: Denzel Washington, Clive Owen, Jodie Foster, Christopher Plummer
Produzione: Imagine Entertainment
Origine: GB/U.S.A. 2006
Durata: 129’

Dopo il passaggio a vuoto di “She hate me” (apprezzato poco sia dal pubblico che dalla critica), Spike Lee torna al cinema d’autore, a quel cinema impegnato che ha sempre fatto e che gli piace fare. Con “Inside Man” il regista afro-americano torna a far sentire la sua voce e la sua mano all’interno del cinema statunitense, spesso troppo superficiale per trattare temi scomodi come il razzismo e i cambiamenti sociali post-11 settembre. Per parlarci di questi temi questa volta Lee decide di usare il cinema di genere, il noir, e nella fattispecie l’ “heist movie”, sottocategoria del film “nero” dedicato alle rapine in banca.

New York oggi. Un commando di quattro persone armate, mascherati da tecnici manutentori, irrompe nella sede centrale della Manhattan Trust Bank, prendendo in ostaggio cinquanta persone. Poco dopo la banca è completamente circondata dalla polizia. Inizia una lunga e snervante trattativa tra il capo dei rapinatori (Clive Owen), il poliziotto in odore di corruzione addetto alle trattative (Denzel Washington) e una misteriosa affarista-diplomatica (Jodie Foster) chiamata in causa nelle trattative dall’anziano e misterioso proprietario della banca (Christopher Plummer). Colpi di scena a raffica e un finale assolutamente sorprendente.

Film di genere sì, ma usato come cornice per raccontarci i temi cari al regista, dall’evoluzione del razzismo all’interno della società americana, alla percezione del bene e del male, sino alle conseguenze sociali dell’11 settembre. Molte le scene buttate lì apparentemente con poca attenzione ma che molto dicono di noi, di come siamo e dove andiamo, tutto condito con un humour nero caustico e dissacrante. Il sikh confuso per un arabo che si rifiuta di rispondere alle domande della polizia senza il suo turbante e che tranquillamente afferma “non ce la faccio più, all’aeroporto capito sempre casualmente dentro i controlli a campioni” o il sergente bianco della polizia che confida al nero mediatore-Washington “meglio crepare da intollerante che crepare da benpensante”, sono inclusi in scene-sequenze in cui Lee riesce con maestria a comunicarci sottilmente, ma con forza, il disadattamento di una intera società, spiazzata da eventi come l’11 Settembre o la guerra in Iraq. Il regista de “La 25ma ora” “sbatte” sul tavolo le paure e le incertezze di un’intera nazione, mettendo in dubbio anche il tanto caro “sogno americano” persosi stradafacendo tra i mille compromessi e patti col diavolo di un capitalismo malato, totalmente cinico ed autoreferenziale (in questo senso fate attenzione al personaggio dell’anziano e mefistofelico banchiere Arthur Case, interpretato magistralmente da Christopher Plummer).

Ma “Inside Man” non è, però, soltanto un grande film di critica e di denuncia (un crogiolo di tematiche scottanti ed attualissime), ma anche una vera lezione di cinema: dalle inquadrature, alle scelte stilistiche sino alla struttura narrativa.

Spike Lee usa tutti i tipi di inquadrature (campi, controcampi, primi piani, piani americani, carrelli, dolly, crane, solo per dirne alcuni) ed ognuna di queste è una vera e propria lezione di cinema per accuratezza e precisione. Grande il ritmo esterno costruito con un montaggio vertiginoso ed un ritmo interno che ha il suo fulcro nella recitazione e nei movimenti dentro alcuni bellissimi piani sequenza (fate attenzione a quello all’interno della banca subito dopo l’irruzione della polizia). Inoltre Lee aggiunge due inquadrature dove si prende la libertà di forzare le classiche leggi del cinema: la prima in cui Clive Owen, con gli occhi fissi in camera, parla direttamente agli spettatori trascinandoli da subito dentro la vicenda, e la seconda a metà film in cui siede Denzel Washington direttamente sul carrello della macchina da presa e lo fa muovere su di esso in una soggettiva frontale (genio e sregolatezza).

La struttura della pellicola è estremamente complessa è per questo molto godibile. Inizia con un incipit in cui, come già si è detto, Clive Owen parla direttamente allo spettatore e poi prosegue con un lungo flashback in cui si racconta della rapina, intervallato da alcuni flashforward (tecnica che sposta leggermente in avanti il tempo della narrazione per poi tornare immediatamente indietro) in cui vengono descritti gli interrogatori degli ostaggi e che aprono all’interno della vicenda una serie infinita di sviluppi narrativi. Infine si raggiunge temporalmente il punto iniziale del racconto da cui poi, in terzo atto, si prosegue in maniera lineare. Molto originale e molto bello.

Ottima la sceneggiatura dell’esordiente Russell Gerwitz, costruita con precisione cronometrica e dentro la quale nessuna scena e nessuna battuta appare superflua, ma anzi assolutamente necessaria al totale del narrato. Di routine la fotografia in tonalità di blu di Matthew Libatique che ha però un tocco di originalità nel momento in cui decide di variare questa in sgranato-desaturato all’interno delle scene in flashforward. Mentre perfettamente adatta ai temi del film appare la colonna sonora multietnica di Terence Blanchard.

Normale ottima amministrazione le interpretazioni di Jodie Foster (talento puro) e del veterano Denzel Washington arrivato ormai alla sesta pellicola con l’amico Spike Lee. Mentre una nota di merito va certamente a Clive Owen (attore sottovalutato che lo scorso anno avrebbe meritato l’Oscar come miglior attore non protagonista in “Closer” di Mike Nichols) che recita per quasi tutta la pellicola con una maschera sul viso e che costruisce con perfetto equilibrio un complesso ruolo confuso tra il rapinatore, il terrorista ed il vendicatore.

In ultimo le citazioni. Come si è detto “Inside Man” fa parte dell’”heist”, sottogenere del “noir” dedicato alle rapine in banca, e Spike Lee in più di una scena rende omaggio a Sidney Lumet che può essere considerato un maestro di questo genere di pellicole, facendo citare ai suoi protagonisti due pellicole con la sua regia come “Serpico” e “Quel pomeriggio di un giorno da cani” (verso il quale “Inside Man” ha un evidente debito).

Molte altre sono le curiosità, le citazioni e le autocitazioni (dalle serie televisive, ai soprannomi dei rapinatori, ai personaggi seduti nelle panchine “vista mare” a Brooklyn che molto ricordano “La 25ma ora”) su “Inside Man”, ma forse è meglio fermarsi per darvi la possibilità di andarlo a vedere al cinema.

Alla prossima.

davidefbrusa

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