In diretta da Zammù, Roy Paci alla consolle

«Sono così felice di tornare a Radio Zammù dopo tanto tempo, veramente mi mancavate»: è giovedì 20 maggio e Roy Paci è in diretta  dai microfoni di Radio Zammù per presentare il suo nuovo album “Latinista”, come sempre suonato insieme al suo gruppo, gli Aretuska. “Latinista” è un disco dal sapore internazionale, di cui il trombettista di Augusta ha sviscerato numerosi aneddoti, in  un vortice di simpatia che ha coinvolto gli ascoltatori radiofonici e l’aula 24; “Toda joia”, tra fotografie autografi e un paio di scherzi fatti dal cantante ai redattori. Con la complicità del conduttore, Roberto Sammito, Roy Paci si è da subito dichiarato disponibile a tornare per una collaborazione fissa…

Roy se vuoi ci mettiamo d’accordo per un appuntamento fisso su Radio Zammù.
«Ma ritornerei ben volentieri a fare radio dopo 20 anni: “Eccoci qui a Radio Zammù amici, questo è il programma “Multiculti” con Roy Paci alla consolle; alla regia Roberto Sammito”. Mi piacerebbe moltissimo, ma purtroppo non ho il tempo di “rasparmi la testa” ».

Il programma multiculti lo faremo comunque oggi, parlando di Latinista, il tuo album uscito da qualche giorno. Da quando è iniziata la promozione immagino che sarai in giro sempre e comunque…
«Sì, e a volte la promozione è bella come quella di quest’oggi. E non è per piaggeria, sono davvero contento di trovarmi in un ambiente familiare. La promozione va fatta soprattutto per ricordare che noi siamo un gruppo indipendente e mi auguro che qualcuno sia così volenteroso da acquistare i nostri dischi, visto che altri hanno delle possibilità diverse rispetto a noi.
Con “altri” mi riferisco a quelli che non appartengono al nostro mondo alternativo italiano, nel quale sono uscite tante belle cose in questo periodo, dalla Banda Bardò agli Après la Classe e tanti altri amici in giro. Gli “altri” sono quelli che hanno una visibilità enorme e poi non valgono un emerito…».

Vabbè ma noi oggi parliamo di Latinista, quindi ce ne freghiamo…
«Ce ne freghiamo di Amici, di X Factor ecc… L’ho detta! Mi è scappata ma l’ho detta».

Immaginavo che ci saremmo arrivati…
«Al primo minuto di gioco Roy Paci entra in porta. Staffilata all’incrocio dei pali».

Un tackle scivolato durissimo. Ma tornando a Latinista, potremmo iniziare col dire che il titolo ha un significato “uno e trino”.
«È un omaggio a tutto il mondo latino: per primo l’Italia che omaggia la sua “lingua madre”; poi naturalmente tutto il gioco di parole con l’onda latina e il Sud America; e per terzo il grandioso gioco di parole su “Sandinista”, disco dei Clash».

E poi la canzone Latinista che, come scrivi sulle note del disco, è un omaggio a tutti quelli che ti seguono e ti ascoltano.
«Sì ed è anche un brano molto intimo, non immaginavo di metterlo all’interno dell’album, perché spiazza parecchio rispetto a quello che è stato il passato storico di tutta la mia produzione musicale. Latinista è un inizio, che fa pensare molto, molto riflessivo, un brano che dovete sentire in effetti…»

Un album che, potremmo dire, è stato “seminato” tra la Puglia e la Sicilia, “piantato” in Brasile ma del quale hai poi raccolto i frutti a Lecce.
«Come i Fichi d’India l’ho fatto maturare, al sole di San Paolo, per poi selezionare i frutti nella mia cantina. È un album che mi ha preso molto, che ho vissuto e sofferto parecchio, in giro per il mondo, e del quale ho ricomposto tutte le idee in Puglia dove attualmente risiedo».

Parlando di multiculti, mi ha incuriosito sapere che tu sei diventato un guerriero Masai. Qual è il tuo rapporto con l’Africa?
«In Africa ho molti amici che lavorano sul territorio, come Icio de Romedis che ha una struttura umanitaria che si chiama “Icio ONLUS”. La prima volta che sono stato da lui la tribù Masai ci ha “battezzati” con l’acqua che abbiamo tirato su dai pozzi. Quando ci hanno battezzati ci hanno dato dei nomi, ad esempio Paolo dei Negrita era “Oroibor” che significa “Masai bianco” perché è alto quanto loro, mentre  io sono “Murani” che significa “difensore della montagna”. Questo perché con la tromba sono stato bravo a riprodurre da subito le loro melodie e sono rimasti “folgorati”. Ho suonato per loro e sono stato eletto “piccola vedetta del Kilimangiaro”».

E da questa esperienza in Africa è nata la canzone “Masai”.
«È nata perché mi sono reso conto di quanto danno facciamo noi uomini bianchi, e di quanto invece possiamo dare a questa gente con poco. Ad esempio con Aretuska abbiamo creato quattro pozzi del valore di circa 2500 euro l’uno, soldi che abbiamo raccolto facendo un po’ di “pulisedda”, economia sulle piccole cose, mentre un pozzo riesce a servire davvero tanta gente».

Dopo l’uscita dell’album ricomincerete a girare il mondo. Quali le date del vostro tour?
«Adesso si ricomincia a girare in lungo e in largo, anche perché siamo fuori dalla scena da 8 mesi, un’eternità. D’estate faremo le date in Italia, mentre sul finire della stagione estiva ci sposteremo all’estero. Saremo certamente a due meravigliosi Festival, uno a New York e l’altro a Los Angeles ad ottobre, ad un altro Festival alle isole Azzorre, e certamente ritorneremo in India… Un sacco di belle cos…. Roberto, ma che c’hai la bibbia in mano?».

No, è questa moleskine che ha un colore particolare ma per fortuna per radio non si vede…  Roy, volevo dirti che la prossima volta che fate un album, dovete mettere i numeretti sulla scaletta. Ora ho dovuto trascriverla sulla moleskine perché altrimenti non trovo i pezzi! Ma torniamo a noi. Parlavamo del tour e dell’album costruito in giro per il mondo, con personaggi italiani e internazionali. Ad esempio in “Bonjour Bahia” hai collaborato con Jovanotti, in “Il Segreto” c’è una collaborazione con Eugene Hutz dei Gogol Bordello.
«Esattamente, lui è un personaggio davvero internazionale. Eugene Hutz tra l’altro è un nome “semplificato”, il suo è di origine ucraina, difficilissimo, si chiama”Ediuring distenghing…” o qualcosa del genere. E non ha solo un nome particolare: se io sono così un po’ “scattiato” lui è veramente fuori di testa. Ci conosciamo da 10 anni, la prima volta che ci siamo incontrati eravamo sul palco al Central Park di New York con 300 mila spettatori. In quell’occasione, era il tour mondiale di Radio Bemba, il suo gruppo fu lanciato facendo da spalla a Manu Chao. Da allora è continuata questa amicizia».

Ma come avete fatto a mettere su una tua melodia un testo in ucraino?
«Lo ha fatto lui, su un argomento che è già abbastanza complesso: “Il Segreto” è un brano che parla di quello che celano i vecchi libri delle biblioteche storiche, quindi lui voleva far risaltare ancora di più quella che è la cultura  all’interno di questi luoghi ancora misteriosi. Oggi lui si è trasferito in Brasile, quindi magari tirerà fuori qualche ritmo “brasil-balcanico”».

Chissà cosa ne verrà fuori allora, già nel tuo album ci sono delle sonorità nuove rispetto al tuo percorso musicale…
«Sì, a me piace moltissimo la gente che ha il coraggio di mischiare, di farsi “penetrare” dalle sonorità nuove a seconda di dove si trova nel mondo. Ad esempio, a volte mi hanno affascinato delle cose che nemmeno un gruppo rock potente riesce a darmi: uno dei concerti rock più belli che abbia visto negli ultimi anni è stato quello dei “Tambours du Burundi”, questa ensamble di tamburi suonata da questi uomini meravigliosi, altissimi, dal corpo scultoreo, che tengono questi tamburi pesantissimi in testa e li suonano. Uno dei più bei concerti rock che ho visto».

Per concludere la nostra chiaccherata, vorrei che scegliessi tu un brano da Latinista…
«Beh, io scelgo un brano sanguigno, il primo brano di “cumbia siciliano” esistente al mondo. Lo abbiamo inventato io e Jah Sazzah, artista che ritorna spesso nei miei lavori e che ha scritto la parte musicale di questo brano, una cumbia colombiana mischiata alla nostra sostanza  siciliana “bedda ‘ncaccarata”. È venuto fuori questo brano, dedicato a tutte le donne, le figure più importanti del mondo, che sono madri e anche Madonne, da cui il titolo del brano che si chiama appunto “Santa”».

Leandro Perrotta

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