Il tesoro nascosto delle città

Le città ci appaiono nella vita quotidiana più come un problema che come una risorsa. Siamo afflitti dalle difficoltà di comunicazione, dal traffico, dall’inquinamento dalle carenze di servizi collettivi. Eppure le città sono anche un grande tesoro nascosto che aspetta di essere scoperto e adeguatamente valorizzato.

Ci sono diversi tipi di risorse latenti. Una prima è costituita dalle conoscenze radicate nelle università e nelle strutture di ricerca, ma anche le tradizioni di “saper fare” legate alle esperienze imprenditoriali e lavorative e sedimentate nel tempo. Oggi l’innovazione non dipende solo dalle capacità delle singole aziende, ma è sempre più unita alla combinazione di stimoli e competenze diverse. Le città sono una sorta di incubatore naturale di innovazione, perché vi si possono sviluppare quelle relazioni e quei contatti informali da cui nascono e si sperimentano cose nuove.

Ma queste “combinazioni” non crescono senza istituzioni e interventi che spingono soggetti diversi a lavorare insieme, senza una qualità della vita urbana che sia adeguata, senza una capacità di comunicazione con il mondo. In tempi di globalizzazione appare ancora più vera la notazione dello storico Braudel: le città sono punti immobili nelle carte geografiche che si nutrono di movimento.

C’è poi una seconda risorsa che è particolarmente importante per le città italiane: il patrimonio ambientale e storico-artistico. Com’è ovvio, una migliore valorizzazione favorirebbe un turismo di qualità, attratto da beni unici, non riproducibili. Ma non c’è solo questo. Il patrimonio culturale potrebbe stimolare “combinazioni innovative”. Si pensi, per esempio, all’impiego di nuove tecnologie nel campo del restauro o all’uso dell’informatica per la catalogazione o per nuove forme di fruizione di beni culturali. In ogni caso – sia per il turismo di qualità che per la produzione di nuovi beni e servizi – sono necessarie forme di cooperazione tra operatori privati, e tra questi e quelli pubblici, per la messa a punto di interventi adeguati.

Insomma, se si guarda ai diversi pezzi del tesoro nascosto nelle città, si arriva alla medesima conclusione. Per poterne sfruttare il potenziale per lo sviluppo è necessario che le città si diano una strategia e che la perseguano con impegno e coerenza. Le occasioni non si creano da sole, ma vanno costruite attraverso la capacità dei soggetti pubblici e privati di lavorare insieme in modo efficiente “facendo sistema” e legando innovazione e qualità sociale. Una componente importante del processo è la presenza di una leadership politica impegnata, che giochi le sue carte investendo in una strategia di sviluppo con una visione non schiacciata nel breve periodo.

Molte città in Europa hanno già seguito, o stanno prendendo, questa strada: la Barcellona di Pasqual Maragall (un esempio molto influente), Bilbao, Lione, Manchester, Monaco, Berlino, Stoccolma e molte altre. In Italia si possono ricordare i casi più significativi, quelli di Torino e di Roma, ma molte città, grandi e piccole, sono in movimento, anche con la sperimentazione di piani strategici che mettono insieme soggetti pubblici e privati. Per il momento si tratta di esperienze volontaristiche, stimolate dalla necessità di far fronte a problemi di ristrutturazione delle basi produttive, e dall’imprenditorialità politica di una leadership dotata di visione, come nel caso di Roma con Rutelli e Veltroni. E’ bene che queste sperimentazioni crescano autonomamente, e che si sviluppino strumenti di comunicazione e di confronto, come per esempio la “Rete delle città strategiche”. Ma ci si può accontentare della diffusione dal basso di queste esperienze o si deve pensare a strumenti che le sostengano e le promuovano?

Se si riconosce che un motore importante dello sviluppo è la qualità delle città, il tema della loro modernizzazione e del loro ruolo dovrebbe ricevere maggiore attenzione. Del resto, in forme diverse, il collegamento tra città e innovazione è al centro di programmi avviati in altri Paesi, come per esempio i “Pôles de compétitivité” in Francia o “Inno-Regio” in Germania. Non si tratta di pensare  forme neo-dirigiste o ad agenzie che gestiscano interventi finanziari pesanti, per i quali non ci sono oltretutto le risorse. Si potrebbe invece mettere a punto un programma nazionale, d’intesa con le Regioni, per promuovere la mobilitazione delle città di dimensioni più significative intorno ad obiettivi di sviluppo credibili. Stimolare le città a formare reti di collaborazione tra soggetti pubblici e privati per la valorizzazione delle loro specifiche risorse.

Prevedendo un efficace sistema di valutazione, basato sulla professionalità e riparato da indebite pressioni politiche. Operare una selezione rigorosa dei progetti, che premi solo chi si muove con proposte credibili rispetto alle proprie dotazioni, e non chi si propone di fare un po’ di tutto senza una seria strategia, e senza un adeguato cofinanziamento che testimoni l’impegno della società locale. insomma, si tratta di riaccendere fuochi di mobilitazione collettiva senza la quale non c’è fiducia e non si crea sviluppo.

(*) Pubblicato su “Il Sole 24ore” di domenica 11 giugno 2006, col titolo “Innovare per crescere, un grande patto nelle città” (si è riportata soltanto una parte del testo). Carlo Trigilia insegna Sociologia Economica nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze.

Leggi anche l’intervista a Richard Florida sulle smart cities (febbraio 2006)

Carlo Trigilia

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