Il sapere, risorsa inutilizzata in Sicilia, strumemto strategico per uscire dall’isolamento culturale

L’ITALIA HA ABBANDONATO LA RICERCA SCIENTIFICA. E OGGI E’ RIMASTA INDIETRO. LE UNIVERSITA, INVECE DI INVESTIRE SULLA RICERCA, HANNO INVESTITO SUL PERSONALE (PER SISTEMARE AMICI E PARENTI). LA NOSTRA REGIONE, IN QUESTO SCENARIO GIA’ DIFFICILE, E’ ANCORA PIU’ INDIETRO. PERCHE’, NEL SECOLO PASSATO, HA PUNTATO SU SETTORI SBAGLIATI, COME LA CHIMICA ‘PESANTE DI GELA, SIRACUSA E MILAZZO. MA LA POSSIBILITA’ DI RISALIRE LA CHINA C’E’. ECCO UNA POSSIBILE RICETTA PER LA NOSTRA ISOLA

da Alfio Di Costa
protagonista del gruppo Insieme si Può.Cambiamo la Politica Siciliana. Cambiamo la Sicilia
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il nostro gruppo Insieme si Può.Cambiamo la Politica Siciliana.Cambiamo la Sicilia, si caratterizza per le proposte concrete che hanno come obiettivo le riforme strutturali stabili nel tempo, al fine di risolvere gli annosi problemi della nostra isola e che la politica non ha mai voluto affrontare e risolvere.

Sin dagli albori della storia, i detentori delle innovazioni, con il loro sapere, hanno sempre dominato i popoli. Avvenne così con i primi insediamenti umani che utilizzarono il fuoco, avvenne così con quelli che utilizzarono per primi la ruota, il ferro ecc. Chi non ricorda Archimede con i suoi specchi o la sua nave Siracusana, chi non ricorda i vari geni militari che con le loro invenzioni hanno determinato il successo dei popoli di cui loro erano i condottieri?

Le istituzioni Universitarie nate per volontà di personaggi lungimiranti e colte, vedi Federico II di Svevia nel 1100 o altre università italiane, nate per le esigenze delle classi agiate e spesso come vezzo di grandezza dei vari personaggi, cominciano ad assolvere il ruolo di depositari del sapere. Restano delle isole felici per molti secoli, vuoi per motivi di divisione politica, vuoi per una filosofia che imponeva l’isolazionismo.

Le varie invenzioni o sviluppi tecnologici vengono gelosamente conservate. Non possiamo non citare il divieto che imposero gli allora regnanti olandesi per la produzione delle porcellane o il divieto di esportare la tecnologia delle macchine da tessitura applicata nel Regno unito: in questi casi, il sapere era associato a forma di dominio economico.

Come tutti sappiamo, la scienza, in senso lato, non si evolve in forma lineare: ha uno sviluppo che spesso è casuale e, fino al più recente passato, era stimolata dalle necessità belliche. Solo nel XVIII secolo, con la nascita delle società scientifiche patrocinate dagli Stati e con i risvolti economici che le varie invenzioni hanno portato, la società si organizza, quello che prima era il lavoro isolato del singolo inventore comincia a divenire il piccolo gruppo per poi trasformarsi in corpo di gruppi di ricerca con scopi finalizzati al profitto.

Questo fenomeno del dominio economico si manifesta in forma larvale sin dalla scoperta delle Americhe, quando gli Stati si rendono conto che il sapere è sinonimo di controllo economico investono nella cultura e nelle università. Stati come il Regno Unito danno vita ad istituzioni quali Cambridge od Oxford, creano società scientifiche che daranno importanti risultati in tutte le scienze e come vedremo più avanti, impererà dopo gli anni ’50 del XIX secolo.

Il secondo conflitto mondiale aveva fatto comprendere che lo sviluppo scientifico ha bisogno di una cosiddetta massa critica di cervelli: questo fu compreso dagli Stati Uniti che organizzarono enormi gruppi di ricerca e misero le basi per la formazione delle grandi università americane.

In Italia le università, con la unificazione del Regno avvenuta nel 1860, assumono un ordinamento che, tranne poche modifiche, rimane invariato fino agli anni ’60 del secolo passato. Poi dagli anni ’70, in Italia, comincia uno strano fenomeno. Inizia la moltiplicazione delle sedi con il decentramento e con la moltiplicazione degli insegnamenti che diventano addirittura circa 8000 alla fine degli anni ’90.

Con queste condizioni le università italiane investono le risorse a loro destinate quasi esclusivamente per pagare gli stipendi degli addetti destinando a ricerca poco meno del 10%. Viene meno quel collegamento, che era attivo fino alla fine degli anni ’60, con le industrie e si passa dall’essere uno dei Paesi più avanzati in molti campi al quasi isolamento scientifico culturale dei nostri giorni.

Nello stesso periodo negli USA si mette a punto la rete internet, nata per motivi militari e presto scoperta dal mondo scientifico come mezzo per il confronto delle idee. L’Italia, in quegli anni, piuttosto che impiegare risorse allo sviluppo scientifico si specializza nell’aumento del debito pubblico. Si pensi che, a distanza di più di trent’anni dall’arrivo di internet, molti centri del nostro Paese non sono collegati neppure con la rete a bassa velocità, e che la realizzazione dell’agenda digitale in questo campo, così come in quasi tutti gli altri campi, non è stata realizzata.

E la Sicilia cosa fa dalla fine della 2° guerra mondiale? Dopo avere avuto riconosciuto lo status di Regione a Statuto straordinario e autonomo, che la trasforma quasi in un piccolo Stato confederato con l’Italia, riesce per la seconda volta nella sua storia (la prima era avvenuta con il depredamento delle risorse da parte del Regno sabaudo nel 1865), a restare indietro.

Pur avendo risorse tali da rendere l’Isola autonoma, pur avendo una posizione centrale nel Mediterraneo, pur essendo vocata naturalmente al turismo, non mette in atto alcun piano strategico per le riforme che può fare in virtù dello Statuto speciale, non concepisce alcun piano delle infrastrutture, non organizza le tre università storiche.

Depaupera le coste costruendo tre poli petrolchimici (Milazzo, Siracusa e Gela) che non portano alcuna ricchezza al popolo siciliano, ma solo inquinamento ed aumento della sintomatologia tumorale nelle aree di loro localizzazione. Dagli anni ’50 fino a anni ’70 ed oltre, la Sicilia serve solo come bacino di manodopera per le aziende del Nord Italia.

Il massimo dell’efficienza (si fa per dire) lo raggiungiamo allorquando riusciamo a ritornare all’Europa oltre l’80% delle risorse destinate a noi, e questo solo per la assoluta impreparazione della politica e della burocrazia nella gestione delle risorse europee.

A questi fatti va aggiunto l’apertura del mercato globale avvenuta negli ultimi anni con l’invasione delle merci da mercati dove produrre costa infinitamente meno che da noi. La globalizzazione ha messo a nudo la nostra arretratezza nell’affrontare i problemi. Gli Stati più evoluti tecnologicamente hanno potuto diversificare producendo prodotti ad alta tecnologia derivata dalla ricerca. Da noi questo non è avvenuto. Non avendo destinato risorse alla ricerca, la nostra industria ha potuto reagire a macchia di leopardo: isolate realtà industriali hanno potuto combattere una guerra in cui si partiva svantaggiati.

Tornando alla nostra Sicilia e a quella che vuole essere una proposta avente caratteristiche strutturali permanenti, pensiamo che sia necessario avere il coraggio di assumere la responsabilità di coordinamento del sapere. Pensiamo a come utilizzare al meglio le risorse che ci vengono messe a disposizione dall’Europa negli anni che vanno fino al 2020. Si tratta di circa 4,4 miliardi di euro destinati alla nostra Isola e che rappresentano un punto di svolta per la nostra società.

Il maggior patrimonio dei siciliani sono le giovani menti che vengono arricchite negli atenei siciliani. Sapere che invidiato da molti, vediamo sfuggirci i giovani dopo averli formati. Non avendo alcuna possibilità di sviluppo nella propria terra, questi ragazzi vanno a cercare fortuna altrove.

Così Paesi come il Regno unito Importano Medici e Ingegneri italiani e li usano senza avere speso un centesimo per la loro formazione!

Noi, in primo luogo, proponiamo un migliore utilizzo delle 4 università, un serio ripensamento sulle varie sedi decentrate, perché non si fa cultura se non vi è una adeguata massa critica di strutture a disposizione di discenti e docenti.

Proponiamo la formazione di quattro Campus postuniversitari per la formazione, lo sviluppo delle start-up e dell’uso dei fondi europei. Lo scopo di queste strutture è quello di valorizzare le migliori menti che le università siciliane licenziano ogni anno facendo massa critica.

I quattro Campus andrebbero dislocati nella Sicilia occidentale (Palermo), nel centro Sicilia (Enna) e due nella Sicilia Orientale (Catania – Messina). A stretto contatto con le rispettive università, accolgano ogni anno e per un periodo di tre anni i migliori giovani delle quattro università. A regime i Campus accoglieranno 2400 giovani il primo anno, 800 giovani il secondo altri 800 ed il terzo il sistema andrà a regime. Il quarto anno vedrà uscire dai Campus quelli che erano entrati il primo anno.

Il ruolo della Regione dovrà essere di coordinamento, mettendo a disposizione una adeguata Task force di funzionari regionali che istruiscano i progetti dei quattro Campus. La Regione si farà carico di coordinare le università ed i Campus nell’individuare i luoghi di massima a cui indirizzare i progetti in funzione anche delle esigenze strutturali della Sicilia.

Questo sistema che assocerà sotto forma cooperativa i neolaureati facenti parte dei Campus permetterà di partecipare a quei progetti europei in cui il singolo giovane non potrebbe mai partecipare. La permanenza nei Campus di queste risorse per tre anni permetterà il loro avvio nel mondo del lavoro e avrà la funzione di start-up.

I Campus dovranno essere finanziati con risorse europee. Dovranno essere energeticamente autonome e collegate con le più moderne tecnologie, con accesso controllato nelle aree di sviluppo dei progetti. Avranno a disposizione aree di conferenze aree di meeting. Ogni sede avrà a disposizione una area congressuale ed un’area destinata agli alloggi dei giovani nei tre anni di permanenza, oltre che di una mensa e di un piccolo centro commerciale.

Visione utopica? Credo proprio di no, semmai un serio progetto per potere uscire da un isolamento culturale in cui i nostri politici ci hanno relegato.

Oggi è necessario avere idee complesse, perché i problemi sono complessi e solo una organizzazione dell’intero sistema del sapere può essere vincente. Non possiamo permetterci il lusso di ritornare capitali a noi destinati dall’Europa solo per la nostra totale inettitudine. Fino ad ora è mancato il coordinamento Europa-Regione-strutture pensanti. La politica deve avere solo ruolo di indirizzo e di individuazione delle esigenze strategiche a cui indirizzare la ricerca. Utilizzare finalmente tutte le risorse rese disponibili dall’Europa per risolvere e superare quelle arretratezze strutturali che ci pongono in un ruolo che non appartiene alla Sicilia.

Noi crediamo che il cambiamento è possibile soltanto se ci crediamo Insieme, soltanto se ci impegniamo insieme, soltanto se ci mettiamo Insieme la Passione che è dentro ognuno di Noi, ricordandoci sempre che se si Sogna da soli è solo un Sogno ma se Sogniamo Insieme è già la realtà.

 

 

Redazione

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