Catania – Il sole squarcia in due la piazza Duomo illuminandone una parte, illuminando “u liotru” e l’ingresso della chiesa. Illumina metà della piazza, metà della folla che rivolta verso la chiesa ascolta la cerimonia funebre. Dal silenzio parte un applauso e la bara, avvolta nel tricolore, esce dalla chiesa portata in spalla. In testa due motocilette della Polizia di Stato, in coda una Jeep come quella in cui Filippo Raciti prestava servizio venerdì sera. Poco prima i momenti più toccanti e intensi.
A parlare è la figlia, che con parole semplici ha salutato il padre: “Ciao Papino questa è l’ultima volta che posso far vedere quanto ti voglio bene. Quando ho saputo della tua morte ho deciso di non mangiare e di non bere. Ma mi hanno detto che devo farmi forza, tu eri un bravo papà. Noi eravamo simili anche nel corpo, in quel ginocchio che non funzionava tanto bene”. Sono le parole strozzate in gola di Fabiana che a stento riesce ad andare avanti. Poi la moglie Marisa: “Che la tua morte induca la società a cambiare. Tu eri bravo e non lo dico perchè sei mio marito, tutti sapevano quanto valevi. Ho chiesto di lasciarmi sola ai tuoi colleghi, ma loro non mi lasciano sola; mi hanno detto che tu avresti fatto lo stesso. Lo sport non è violenza”. Nelle parole della moglie e della figlia tutto il senso di questa tragedia. Non l’ufficialità, le parole di cordoglio, le condanne, non tutto questo. Il senso sta tutto in quei ricordi, in quelle parole dette con tono non solenne, ma quotidiano di chi ha perso un papà, un marito prima che un poliziotto.
Dentro la chiesa il silenzio è rotto solo dalle funzioni religiose. La bara è lì ferma, tutt’attorno i colleghi, composti: è un tappeto di divise. Da una parte ci sono i familiari, fermi nel dolore, con lo sguardo verso il basso o dritto verso la bara. Dall’altro lato le istituzioni: c’è il ministro Amato, c’è la Melandri, Cuffaro, Rita Borsellino. C’è Enzo Bianco e Pierferdinando Casini, l’ex ministro Tremaglia e poi arriverà anche Fini. C’è però soprattutto tanta compostezza. Intorno alle 12, qualche minuto prima che la bara di Filippo Raciti entri in Chiesa, ad accoglierlo, oltre alla Polizia, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza ai Pompieri c’è una delegazione del Calcio Catania, con Mascara, Sottil, con Morimoto sempre seguito dal suo interprete. E’ visibilmente imbarazzato, tiene lo sguardo basso. Da una finestra della piazza spunta uno striscione: “Catania dice no alla violenza”. In piazza di sciarpette del Catania non se ne vedono. Dentro c’è la corona della società e c’è lo stendardo del Palermo Calcio. Il gonfalone di qualche comune e qualche fascia tricolore.
Poi arriva il corteo, arrivano i familiari e il silenzio si fa sempre più intenso. L’omelia ha inizio, a celebrare la funzione l’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina e monsignor Paolo Romeo. Fuori tanta gente ascolta in silenzio. E scuote la testa.
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