Di sé dice che «non sono comunista ma cazzaro», e sarà per questo che più volte invita la numerosa platea che è giunta ad ascoltarlo alla libreria Modusvivendi a cantare l’Internazionale. Fulvio Abbate, oltre a essere uno straordinario scrittore, è una memoria vivente: colmo di dettagli che descrive fino a sfiorare, e sforare, il torbido o perlomeno la mania. Pur non vivendo a Palermo da anni, narra la città nella quale è nato e ha vissuto fino agli anni giovanili con una tale precisione nei dettagli che viene da dargli ragione quando afferma che «secondo me lo scrittore è uno che sa dare il nome alle cose». L’occasione del suo ritorno è la riedizione del primo romanzo Zero maggio a Palermo, col quale Abbate diede mostra nel 1990 di un talento letterario che era già venuto fuori grazie alla redazione de L’Ora.
Alla città che fino a qualche anno prima avrebbe voluto vedere «seppellita dal napalm», e che per questo «spessissimo mi ha fatto percepire astio, invece questa presenza così numerosa mi fa capire che c’è affetto», ha regalato una serie vorticosa di aneddoti. Come quella volta che «uno dei primi concerti di Fabrizio De André fu alla Fiera del Mediterraneo, all’interno di una festa dell’Unità. Il cantautore era ubriaco in maniera agghiacciante, fu visto barcollante all’altezza di Stancampiano, ed è uno dei ricordi che non è potuto entrare nel libro».
In compenso sono tante le storie che fanno parte del romanzo, e che è incentrato su due adolescenti – Ale e Dario – alla scoperta del mondo nel 1970 e con qualche ideale di rivoluzione. Le vicende quotidiane partono dalla sezione Togliatti, in via Dalmazia, e da lì il microcosmo palermitano e quello macro del PCI si intrecciano in una città popolata da personaggi e fantasmi, come quelli dei Beati Paoli. «Per scrivere questo romanzo – dice ancora Abbate – mi sono ispirato al jazz di Charlie Parker, non credendo al plot. L’Espresso ci fece una recensione che intitolò Tenero PCI. Oggi, anche se non vivo a Palermo, devo dire che mi inquieta il fatto che ci sia così tanta immondizia per strada: è stanziale, così come gli individui».
Nella nuova edizione la postfazione è dello scrittore palermitano Giorgio Vasta, nato proprio nell’anno in cui è ambientato il romanzo: «In Zero maggio ci sono passaggi linguistici straordinari. Dirò di più, ogni origine è potenzialmente struggente se la si racconta con la lingua di Fulvio Abbate».
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