Il principe e la querelle tra due scrittori

I protagonisti di questa vicenda sono Vincenzo Prestigiacomo e Marcello Sorgi. Entrambi siciliani. Entrambi giornalisti.
Ed entrambi autori di due volumi che narrano le gesta di uno degli ultimi ‘Gattopardi’ della Sicilia. Solo che il primo – Prestigiacomo – pensa che il secondo – Sorgi – abbia approfittato della sua opera.
Così la storia è finita in Tribunale.

 


copertina del volume di Prestigiacomo

Riteniamo che nessun personaggio della storia, dell’arte, della cultura e di quel modus vivendi gaudente e indolente che magistralmente Federico Fellini dipinse ne “La dolce vita”, abbia stregato, in vita come dopo la morte, uomini e donne della “haute” internazionale,  autori di spettacolo e, di recente, anche due signori giornalisti-scrittori, come ha fatto don Raimondo Lanza, principe di Trabia, l’ultimo ‘Gattopardo’ di Sicilia. Non è capitato neanche al Vate, al Comandante, all’ “Orbo veggente”: Gabriele d’Annunzio.

È noto, infatti, che la canzone ”Vecchio frack”, versi e musica, di Domenico Modugno, fu scritta nel ‘55, ispirata sotto l’impressione generale che aveva prodotto la morte violenta del grande viveur, “sciupafemmine”, sognatore, uomo dal cuore d’oro e grande dissipatore – assieme al fratello, Galvano –  di una immensa fortuna, l’ultima della irresponsabile casta aristocratica siciliana, ma certamente ammalato di qualcosa che gli mancava, avvenuta a Roma, in via Ludovisi, il 30 novembre 1954.

E mentre “un cilindro per cappello / due diamanti per gemelli / un bastone di cristallo / la gardenia nell’occhiello / e sul candido gilet un papillon / un papillon di seta blu … galleggiano dolcemente e lasciandosi cullare se ne scendono lentamente sotto i ponti verso il mare …”, incantando e commuovendo gli ascoltatori, nello stesso anno, due grandi riformatori della scena italiana, inventori della “commedia musicale all’italiana”, Pietro Garinei e Sandro Giovannini, scrivevano e mettevano in scena “La Padrona di Raggio di Luna”, con le musiche di Gorni Kramer, le coreografie di Donald Saddler, le scene e costumi di Giulio Coltellacci. Gli attori protagonisti della storia che traeva spunto dal fatto che don Raimondo (inventore del calcio-mercato e presidente della “Palermo Calcio”) aveva acquistato, con fondi propri, il calciatore argentino Martegani che non fece in tempo a vendere, per cui alla vedova, la signora Olga Villani, in arte la deliziosa Olga Villi (ex indossatrice, che debuttò nel teatro di rivista, per lavorare, poi, in quello di prosa, nella Compagnia Morelli-Stoppa, diretta da Luchino Visconti e per poi sposare il principe), tra le poste dell’attivo dell’asse ereditario era passato un bene che non sapeva che farsene, lei, attrice di successo e vedova sconsolata. I protagonisti della commedia musicale furono: una “signora del teatro”, Andreina Pagnani, (l’indimenticabile Blanche della prima edizione italiana “viscontea”, nell’immediato dopoguerra” de “I parenti terribili” di Cocteau, più ricordata, forse, come la paziente moglie dell’ispettore Maigret-Gino Cervi della serie televisiva degli anni sessanta-settanta della televisione); un altro “signore della scena italiana”, il delizioso Ernesto Calindri (ricordate la pubblicità, al tempo del mitico “Carosello”, per la China Martini, con Franco Volpi? e quella  per il Cynar che lo legò fino al 1984, con lo slogan “contro il logorìo della vita moderna”, espressione ancora oggi utilizzata, e in teatro, tanto teatro: “L’Avaro”, “Pensaci, Giacomino!”, “Sul lago dorato”, “Il borghese gentiluomo”); una dirompente ventottenne, Lauretta Masiero.

Sembrava che quella pace interna, tante volte cercata e mai trovata, vacuamente stordita con massicce dosi di whisky o camuffata da sniffatine di cocaina e l’oblio fossero scesi definitivamente su quest’uomo, il cui destino aveva riservato “una morte innaturale e una nascita avvolta nel mistero”.

Così esordisce Vincenzo Prestigiacomo, noto giornalista palermitano, profondo conoscitore del centro storico della città, autore di pubblicazioni sportive e storiche di notevole valore, con il suo Principe irrequieto, pubblicato nel 2006, per i tipi della “Nuova Ipsa Editore”, (fondata nel 1981 dal dottor Claudio Mazza, figura romantica e simpatica, di editore ma anche di omeopata e agopunturista), in sobria veste editoriale, contraddistinto dal n. 6 nella “Mnemosine”, collana di ‘recuperi’ letterari diretta da Salvo Zarcone, con prefazione di Matteo Collura, che altro non è che una specie di “romanzo storico”; abbiamo detto specie, perché è scritto con una sapiente penna che ha saputo intingere nel calamaio del cronista e in quello dello storico sulla figura romantica e travagliata di quest’ ultimo aristocratico, nato in una villa di Arcellasco, l’11 settembre 1915.

Spesse volte ci si chiede il perché nel Meridione d’Italia si produce tanta letteratura e, di contro, non si consumano altrettante pubblicazioni, così da creare un notevole divario tra il cosiddetto “sottobosco letterario” produttivo folto e vario, ma solo “sottobosco”, e il mercato librario che segna punte in rosso. Se lo sono chiesti in molti e vari sono i motivi di questo fenomeno, che in questa sede non stiamo ad analizzare.

Ma è certo che in questa oggettività appare emblematico l’evento di questa pubblicazione di autore e casa editrice palermitani che nello spazio di cinque anni riesce a ripubblicarsi per ben cinque volte.

In un’epoca nella quale sono finiti i vari Federico De Roberto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Giuseppe Maggiore, Raffaele Poidomani Moncada, per citarne alcuni e le cronache dei quotidiani occupano il loro spazio dilungandosi sulle “posizioni più o meno orizzontali” delle varie Ruby Nicole Noemi e Patrizia e, chi ne ha più ne metta, che imbrattacarte “salariati” (l’aggettivo è di Antonio Gramsci) difendono con sostenuta convinzione, nasce spontaneo chiedersi, quindi, allora cosa non si legge, dal momento che proprio questo libro, che come gli altri editi in Sicilia incontra notevoli difficoltà nella distribuzione sul territorio nazionale, ha avuto successo. Allora, forse, sta nel come un manufatto letterario viene “servito” ai lettori o nell’argomento scelto. Una cosa è certa: il libro del nobile Vincenzo Prestigiacomo (nobile di famiglia, ma soprattutto d’animo) è di qualità ed è avvincente.  In una prosa, altamente evocativa ma asciutta, in undici capitoli, Prestigiacomo, che abitualmente scrive per “La Sicilia” e per la storica “Gazzetta dello Sport”, racconta la vita dell’ultimo principe di Trabia, di quel personaggio straordinario (leggere il libro per capire), con una tecnica, diremmo, cinematografica: e cioè ponendo la fine terrena (“Raimondo guarda per un istante la strada e poi si lancia nel vuoto a volo d’angelo”) come inizio di un film: il film della vita di un uomo, ricco e generoso, stravagante, sportivo,

L’«enfant terrible» dal viso d‘angelo: Raimonduzzu a due anni, con il padre, il principe Giuseppe Lanza Branciforti di Scordia, diplomatico di carriera.

amato dalle donne più belle del jet set internazionale, cultore delle cose di gusto e con una predisposizione naturale verso lo sprezzo del pericolo – viene in mente la canzone “Emozioni” di Mogol-Battisti “.. e guidare come un pazzo / a fari spenti nella notte / per vedere / se poi e’ tanto difficile morire …” – eppure, chissà se non ammalato di quel male sottile, oscuro, di cui Freud dedicò tutta la sua vita agli studi di psicanalisi. E poi c’è stata la grande lezione di Pirandello.

Raimondo era figlio del principe Giuseppe Lanza Branciforti di Scordia (figlio di Pietro di Trabia, senatore del Regno e di Giulia Florio, dama di Corte della Regina Elena) e di Madda Papadopoli Aldobrandini, “appartenente a una famiglia veneziana di grandi tradizioni nobiliari” ma più grande di don Giuseppe di dieci anni; i due, pur amandosi, non sono sposati; nel 1922, anno della Marcia su Roma, il protagonista aveva sette anni, ma era già molto sveglio per la sua età.

Siamo contrari a riportare brani dai libri, ma questa volta vogliamo trascrivere parte del capitolo “A Palermo”, perché aiuta a comprendere il “milieu”, come dicono i francesi, di quell’epoca lontana.

“L’incontro con i nonni è fissato per il pomeriggio. Vi parteciparono gli zii Florio, naturalmente la madre Madda, monsignor Filippo Pottino, la bisnonna Sofia, la zia Giovanna Lanza, la duchessa Benso di Verdura, Vittorio Emanuele Orlando. Il ragazzo, finalmente, può respirare l’aria di Palazzo Butera. Il primo impatto con i nonni è imbarazzante, tremendo. La principessa Giulia di Trabia accoglie i nipoti con una loro foto in mano. Fissa il ragazzo più alto. Dice: «Tu sei Raimonduzzu, vero?» E il nipote: «Mi chiamo Raimondo e non Raimonduzzu». Dopo quella precisazione continua: «Nonna, posso avere il permesso di baciarvi?» «Certo, figghiuzzu miu». La bacia e con spirito tagliente: «Siete molto più bella di presenza, ma perché tutto questo tempo per conoscervi? Papà mi parlava spesso di voi e di nonno Pietro. Ero proprio curioso di conoscervi. Qualche volta ho pensato …». La nonna, commossa, interrompe il nipote e lo stringe fortemente al petto. Sul suo viso scivolano alcune lacrime che la principessa asciuga con un fazzoletto merlettato con al centro il leone rampante dei Lanza….”. Era il 27 febbraio 1927.

Con quella riservatezza e cortesia tipiche del suo modus vivendi, Vincenzo Prestigiacomo ci confida che l’interesse su “Raimondo” è scaturito dal fatto che scartabellando tra documenti custoditi in un baule del maniero di Bisacquino del barone Ernesto Bona di Giardinello, suo suocero, sono saltate fuori delle fotografie che ritraevano lui, l’estroso principe, con il patrizio bisacquinese. Da lì la curiosità di saperne di più, di rintracciare conoscenti, amici, persone in genere che in ogni tempo hanno avuto rapporti con l’ultimo dei Lanza. E Vincenzo, spendendo migliaia di lire e migliaia di euro, è arrivato ad intervistare tante personalità; una per tutta il mitico “avvocato” Gianni Agnelli.

il giovane Raimondo, “maturando” e corsaro di cuori, dalla terrazza del castello di Trabia.

 

Raimondo Lanza di Trabia ha stregato diverse personalità del bel mondo: da Edda Mussolini, la figlia ribelle del Duce, al marito, l’intraprendente conte Galeazzo Ciano (che venne fucilato a Verona l’11 gennaio 1944, a seguito dei dolorosi eventi del 25 luglio ’43); da Antonello Trombadori (partigiano comunista, giornalista, critico d’arte e parlamentare del Pci) al “padrone” della Fiat; dal leggendario armatore greco Aristotele Onassis (il grande amore per Maria Callas e l’altro … per Jacqueline Lee Bouvier, vedova di John F. Kennedy) all’attore e regista statunitense Errol Flynn (protagonista di film d’azione: Capitan Blood, La carica dei 600, La leggenda di Robin Hood, Carovana d’eroi, tra i tanti) alla seducente Pamela Digby (moglie in prime nozze di Randolph Churchill, figlio di Sir Winston, in seconde del produttore cinematografico Leland Hayward, in terze del diplomatico e politico statunitense Averell Harriman, senza contare gli innumerevoli amanti) all’eccitante, Rita Hayworth (l’indimenticabile protagonista di Gilda, il film del ’46, diretto da Charles Vidor e interpretato con Glenn Ford e George Macready).

 

Ma indubbiamente quell’angelo o quel diavolo di don Raimondo o il libro “galeotto” del buon Vincenzo Prestigiacomo hanno stregato, anche, un noto giornalista, nativo di Palermo e che nel battagliero quotidiano del tempo che fu si è fatto le ossa, per poi spiccare il volo nel panorama giornalistico italiano, divenendo – anche – direttore del prestigioso quotidiano torinese. Così nel 2011 la Rizzoli ha pubblicato Il grande dandy. Vita spericolata di Raimondo Lanza di Trabia. L’autore è Marcello Sorgi che chissà per quale oscura alchimia cerebrale ha attinto alla stessa storia.

 

Don Raimondo su Bmw 2000, alla Pirato-Enna, cerca di emulare il suo grande amico, l’asso Tazio Nuvolari

In effetti, leggendo il primo libro si rimane ammaliati dalla novità e dalla freschezza del racconto; leggendo il secondo ci si sente, anche se poste con grande maestria, a delle cose già espresse: ripetizioni e smagliature, anche se il secondo giornalista, più noto del primo, nella “Nota dell’Autore” ringrazia «Vincenzo Prestigiacomo, per i suoi generosi consigli sulla vicenda». Vicenda che è sfociata in una vera e propria causa intrapresa dal “Mazza, editore” e dal “Prestigiacomo, autore”, che si sono sentiti lesi nei propri diritti e, pertanto, hanno rassegnato le proprie ragioni nelle mani di due noti avvocati del foro palermitano: Daniele Anselmo e Alessandro Palmigiano.

Il bello della faccenda risiede nel fatto che gli ambienti culturali della “Palermo-bene” sono a conoscenza del delicato “affaire” e tutti sono guardinghi nel prendere una posizione. Riteniamo che in questo modo di fare sia molta viva quella componente omertosa, ancora esistente in tante frange della nostra comunità. Purtroppo!

Se fossimo ancora ai tempi della buonanima di Raimondo, Prestigiacomo avrebbe potuto sfidare Sorgi, secondo le regole del “Codice cavalleresco italiano” del cavaliere Gelli, come del resto fece il suo protagonista con il barone Alù. Ma oggi? ? evidente che Prestigiacomo ci sia rimasto male; non è un comportamento che rientra nel suo bel lessico familiare. Ma coraggio, di certo la giustizia farà di tutto per far trionfare la verità, perché non sia a vincere il più forte, se non altro, per sfatare quelle dicerie di cui la stessa giustizia italiana non è immune.

 

 

Foto: Archivio Casa Prestigiacomo

 

Lino Piscopo

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