Appello patriottico a Bruno Contrada

Gioacchino Basile è un ex operaio dei Cantieri navali di Palermo che, nei primi anni ‘80 del secolo scorso, denuncia le infiltrazioni mafiose nell’azienda dove lavora. Sindacalista della Cgil, a un certo punto rompe anche con la sua organizzazione sindacale (con la quale, anni dopo, si ‘riappacificherà). Le sue denunce proseguono per tutti gli anni ‘80 e negli anni ‘90. Da da tempo Basile vive sotto scorta fuori da Palermo. Oggi è tornato da candidato a sindaco per Forza nuova. In questa lettera, l’ex sindacalista invita Contrada a raccontare tutto quello che sa sui ‘misteri’ siciliani (che poi sono ‘misteri’ italiani, se è vero, come diceva Leonardo Sciascia, che “la Sicilia è una regione molto italiana”).

Egregio dottor Contrada,
tanta acqua è passata sotto i ponti e, dalle due sponde opposte dalle quali
ci siamo scrutati con diffidenza per anni, sulle rive della nostra Palermo,
la visuale sembra adesso essersi ampliata sull’orizzonte della reciproca,
matura consapevolezza e delle infernali esperienze vissute, tant’è che
da qualche tempo, in vittoria di onestà intellettuale, partecipo con
estrema passione delle affettuose cure delle sue più tenaci sostenitrici,
Agnesina Pozzi e Marina Salvadore, che sostengono anche le mie annose
battaglie per la Verità.
Siamo ad una svolta epocale, al salto quantico… al risveglio della
coscienza (per chi ne è fornito!). Certamente, questa rapida transizione,
come avviene durante l’ultima spinta di un parto, toccherà l’apice del
dolore, ma la gioia della neonata, purificata consapevolezza, innocente da
ipocrisie e menzogne, ripagherà noi e chi dopo di noi della fatica e del
dolore e dall’ingiustizia subita.
Siamo di origine e formazione culturale ben diversa, ma nella sua tragedia
concordo con quanto da lei stesso amaramente commentato, citando Eugenio Montale: “L’unica speranza è l’imprevisto…”. Aggiungendo, poi: “Mi trovo qui non certo per riacquistare la libertà, perché non so cosa
farmene e perché ho quasi finito di scontare tutta la pena, ma
esclusivamente ed unicamente per evitare di lasciare ai miei figli ed ai
miei nipoti un nome infamato. Solo per questo…”.
Dottor Contrada, mi permetto di dirle che lei sa benissimo
che “l’imprevisto possibile” sta dentro di lei. Le demoniache accuse
che l’infernale branco di iene e sciacalli le ha lanciato per inchiodarla
“all’ingiusto ruolo del traditore delle Istituzioni” è un‘infamia
pesantissima che potrà esser lavata solo con un poderoso atto di coraggio spirituale ed umano, che solo lei può tirare fuori dalla coscienza per lavare il suo onore di  uomo fedele a quello Stato dal volto criminale che, dalla fine degli anni ‘70 e fino al 19 luglio 1992, utilizzò in funzione
militare cosa nostra contro gli uomini delle Istituzioni leali alla
Costituzione.
Lei, di quello Stato che forse ancora oggi domina “il nostro scenario democratico” (sic.), è stato il “fedelissimo servitore ideologico” offerto in olocausto per  strategica opportunità morale (sic.), dopo la strage di via D’Amelio, alle fameliche infamie di quei criminali che strisciavano ai suoi piedi e che, poi, con la rottura del patto infame di quello Stato e la conseguente disarticolazione di cosa nostra,  si sono infine sbranati fra di loro come gli squali della “Signora di Shanghai”.
Io e lei, seppur su fronti diversi, siamo stati traditi e sconfitti dal quel potente fronte della menzogna politico-istituzionale che Pascal
descriverebbe così: “Non essendosi potuto fare in modo che quel che è
giusto fosse forte, si è fatto in modo che quello che è forte fosse
giusto”.
Sono ormai trascorsi quasi 20 anni da quel maledetto 19 luglio 1992  che fece uscire dalla scena della vita un magistrato onesto – Paolo Borsellino – che, applicando semplicemente la Legge, avrebbe messo in ginocchio il sistema criminale di quei governi e di quello Stato.
Dottor Contrada, lei meglio di me sa che il mostro che dobbiamo tentare di
sconfiggere o mettere in difficoltà è “la mafia dal volto istituzionale: una sorta di coordinamento trasversale tra fiduciari del potere al quale molti sono stati chiamati e moltissimi quelli che aspirano a partecipare per convinzione ideologica o per meschina convenienza personale”.
Lei era ed è ancora  fedele al giuramento prestato allo Stato; Stato che, purtroppo, per quel sentire ideologico politico-istituzionale non ha mai voluto riconoscere una vera dignità al popolo siciliano.
Dottor Contrada, ormai credo che ci resta ben poco da vivere, ben poco da dare… perché ci han preso tutto: Lei ha 80 anni ed ha molte patologie pesanti; io, di anni ne ho 62, ma dentro di me s’annidano le infami polveri d’amianto che, di tanto in tanto, si fanno sentire, avvisandomi che da un momento all’altro potrebbero reclamare lamia vita.
Orrmai, dottor Contrada, null’altro ci resta oltre alla fede in Dio e alla speranza di lasciare ai nostri figli ed alla nostra gente quella testimonianza di serena verità, fatta anche di errori ideologici, che metta il vero volto della mafia alla luce della storia, perché la giustizia, grazie allo strutturale deficit di Magistrati valorosi, in Sicilia è  lettera morta.
Raccontiamo, dottore, ai nostri figli la vera Storia della bistrattata Sicilia, perché conquistino la Dignità ed il senso di appartenenza, perché senza Identità non si ha diritto a Dignità. Siamo ancora a questo mondo ed abbiamo ancora un po’ di fiato per alitare Verità e Onore: unica vera eredità che possiamo lasciare ai nostri eredi ed al nuovo mondo
Cominciamo a purgarci dagli “imprevisti possibili” e dai
condizionamenti di rango.

Cordialmente

Gioacchino Basile

Redazione

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