Il precariato dei call center a Catania

La questione della precarietà è un tema attuale a livello nazionale, regionale ma soprattutto cittadino per noi. Se si parla di lavoratori interinali, a tempo determinato occupati nei call center più disparati poi il tema diventa scottante e richiama un problema da risolvere urgentemente, perché esprime un disagio esteso a innumerevoli giovani e lavoratori con famiglia a carico senza diritti di festività, senza contributi a fini pensionistici o per malattia. Il futuro è così nelle mani di committenti, rappresentati da varie aziende nazionali e multinazionali, che manovrano i lavoratori come dei burattini e che tessono le fila dei loro interessi economici sempre più proficui a discapito dei loro dipendenti precari.

 

“Sono entrato inizialmente come lavoratore interinale (per rendere l’idea, tramite una di quelle agenzie come Adecco e Manpower per citare le più conosciute, nrd). Da dipendente quale ero, a distanza di nove mesi sono diventato lavoratore a progetto. Le ferie, che rientrano nei diritti dei lavoratori, vengono date nel momento in cui scade il contratto e devi iniziare a cercarti un altro lavoro…queste sono le ferie per i precari!”, è quanto ha dichiarato un dipendente a progetto del gruppo COS durante l’incontro organizzato dalla CGIL tenutosi nella sala convegni Sebastiano Russo del sindacato che ha sede in via Crociferi, e a cui hanno partecipato Luisa Albanella (segretario provinciale Filcams), Pippo Di Natale (segretario territoriale CGIL), Massimo Malerba (Direttivo Regionale CGIL) e Rita Ponzo (segretario provinciale Fisascat).

 

Oltre ai grandi call center delle stesse aziende, vi sono piccoli call center che lavorano da prestanome per esse. Catania rappresenta una “zona franca” ideale per questi committenti, una città in cui ci si può permettere di tutto senza vincoli e senza rispondere di niente. Basti pensare che per il lunedì di Pasqua (giorno di vacanza quasi per tutti, ma non per gli operatori telefonici, ndr) si guadagnano 8 euro appena per 8 ore di lavoro. Il messaggio, intimidatorio a tutti gli effetti, fatto dai committenti ai loro dipendenti, è che non vengano citate aziende come Telecom, Wind, Alice, Sky. “La legge 30 – continua il dipendente della COS – ha prodotto precarietà ed è stata devastante per i ragazzi che vogliono crearsi un futuro o per i lavoratori come me che hanno già una famiglia da mantenere. I contratti a progetto sono solo esempi di contratti simulati. Siamo alla mercè di un potere economico che produce gli stessi effetti, che subiamo qui in Sicilia, solo che ora sono diversi perché sono resi legali”.

 

Un’altra dipendente della COS prosegue: “La COS ci ha invitato a non nominare i committenti, proprio loro che determinano le nostre condizioni: cercano lavoratori che costano sempre meno. Se noi riuscissimo a risolvere il problema, salvando e migliorando il nostro posto di lavoro, dobbiamo diventare un esempio per tutti, senza dimenticarci degli altri”.

 

Sempre riguardo la legge 30, un lavoratore della MIBI aggiunge: “Questo non è lavoro, ma sfruttamento delle nostre intelligenze. Molti ragazzi, anche laureati, sono costretti a subire condizioni lavorative assurde a causa di una legislazione inadeguata e a causa nostra che abbiamo permesso tutto questo. Io lavoro dal 1989. Prima il lavoro interinale, che deriva dal latino “temporaneo” – come precisa il lavoratore – non esisteva. Pian piano hanno cambiato il nostro modo di vedere le cose”. La MIBI Servizi Società Integrati che fa capo alla “Select”, una grande multinazionale olandese, rappresentava infatti fino a qualche tempo fa un’isola felice per 34 lavoratori dipendenti. Ora si chiude, con i licenziamenti in tronco, e ingiustamente si volta pagina. Si licenziano gli attuali dipendenti perché, tramite altre “scatole cinesi”, è possibile guadagnare di più.

 

“Noi avevamo maturato un sogno – dice Luisa Albanella – quello di poter avere anche nei call center dei lavoratori a tempo indeterminato. Purtroppo la situazione dei call center a Catania è drammatica. Le responsabilità, oltre ai call center stessi, sono dei committenti e degli appalti generali che tendono sempre più a risparmiare garantendosi un costo di lavoro che sia il più basso possibile, causando così la precarizzazione dei lavoratori”.

 

Quello che la CGIL spera è che le istituzioni intervengano sulla Legge 30 e che a livello nazionale le tre rappresentanze sindacali, a conoscenza del problema che affligge la nostra città, abbiano un confronto e intraprendano un percorso unitario volto a definire uno schema o carta di impegni al fine di garantire ai lavoratori, attualmente precari, le stesse condizioni dei lavoratori che operano in altri contesti. Chiede quindi: che i prezzi siano agganciati a parametri nazionali senza decisioni prese arbitrariamente a livello territoriale, che vengano riconosciuti tutti i diritti previsti dalla Costituzione e dallo statuto dei lavoratori, che venga eliminato il fenomeno del “turn-over” con licenziamenti in tronco improvvisi e lavori sottopagati e che infine la situazione sia monitorata verificando il quadro di lavoro in cui si muove la prestazione dei lavoratori interinali.

 

Tutti i presenti hanno ricordato l’esempio della Francia e di come, facendo una battaglia degna di essere combattuta, scendendo in piazza e manifestando in modo unitario e compatto, ha dato una lezione di solidarietà, svegliando le coscienze di tutti. Il coinvolgimento, oltre ad essere totale, è stato soprattutto generazionale. “In Italia siamo più lenti e non vogliamo arrivare all’estremo, ma in realtà è a questo che ci stanno portando”, come afferma uno dei precari presenti.

 

E’ stata indetta una assemblea generale giorno 5 maggio alle ore 16, sempre presso la sede della CGIL in via Crociferi, a cui prenderanno parte tutti i call-center. “In vista di questa assemblea che servirà per difendere quello che loro (le aziende, ndr) considerano una “anomalia” nel lavoro – come detto da Luisa Albanella – e del prossimo incontro con il sindaco di Misterbianco e con la Prefettura, bisogna nel frattempo mantenere alta l’attenzione coinvolgendo ad esempio anche i candidati alle prossime elezioni regionali”. Quelli che nei loro manifesti-slogan scrivono e promettono “futuro ai giovani”…

Valeria Arlotta

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