Il Palermo cade a un passo dal traguardo Rosanero puniti dall’arbitro e da loro stessi

Al di là del risultato: il verdetto del campo, di una partita che ha premiato il Frosinone promosso in A ma che non si è conclusa con il triplice fischio dell’arbitro per l’invasione anticipata dei tifosi locali sul terreno di gioco (ed è una delle motivazioni per le quali il club rosanero presenterà ricorso contro l’omologazione del punteggio), è Frosinone 2 Palermo 0 ma analizzare il match giocato ieri allo Stirpe focalizzando l’attenzione prevalentemente sul punteggio finale senza soffermarsi su ciò che sta dietro questo 2-0, senza capire che la vittoria interna dei ciociari è stata la punta di un iceberg più profondo, la parte visibile e in superficie di una realtà oltre la quale sono successe alcune cose, è un esercizio complicato.

Giusto fare i complimenti al Frosinone che ha voluto a tutti i costi questa promozione ma forse sarebbe il caso di approfondire il senso di questo avverbio ‘a tutti i costi’ per capire meglio il film girato ieri in Ciociaria. In un’arena in cui si è disputata una battaglia senza esclusioni di colpi ma anche un teatro dell’assurdo in cui si sono verificate delle situazioni piuttosto strane. Che hanno penalizzato il Palermo (e il concetto non sarebbe cambiato anche se di mezzo non ci fosse stato il Frosinone) e mortificato i valori sani dello sport. Premesso che l’alibi è lo strumento preferito dei perdenti e che i rosanero devono recitare il mea culpa per la maniera con la quale si sono lasciati sfuggire una promozione assolutamente alla portata (per i rosa, primi al termine del girone di andata, sono stati fatali i quattro pareggi rimediati nelle ultime cinque gare interne della stagione regolare), non si possono bypassare determinate dinamiche che, complici le sbavature della formazione di Stellone, hanno prodotto il risultato di 2-0 a favore dei padroni di casa.

Il Frosinone ha vinto ma…non ha saputo vincere. Al di là delle parole pronunciate nel post-gara dal presidente Stirpe che di fatto ha minimizzato il comportamento antisportivo di alcuni suoi tesserati, fa riflettere la condotta della compagine di Longo nell’arco dei 90 minuti. Scanditi dalle continue provocazioni dei gialloblù (anche il Palermo non si è risparmiato e ha partecipato alla lotta con un gioco maschio, per carità, ma lo ha fatto in modo leale al contrario ad esempio di giocatori come Dionisi che ha trascorso più tempo a terra che in piedi…) e culminati con dei mezzucci (il riferimento è ai palloni gettati in campo dai panchinari del Frosinone, nel finale, per fare perdere tempo con il Palermo sotto di un gol e proiettato in avanti alla ricerca del pareggio) visibili nei tornei amatoriali o nei campetti di periferia ma inaccettabili in una finale playoff del campionato di serie B. A sporcare ulteriormente il quadro, già rovinato dall’atteggiamento infantile degli uomini di Longo, ci ha pensato l’arbitro La Penna di Roma 1, lo stesso direttore di gara che proprio a Frosinone lo scorso 14 ottobre annullò un gol regolare a Rispoli.

Dire che il Palermo ieri ha perso per colpa dell’arbitro è fuori luogo ma è altrettanto vero che il suo comportamento al 18’ del secondo tempo rappresenta davvero una rarità sui campi di calcio. Cambiare due volte decisione (in occasione di un contatto tra Brighenti e Coronado sulla linea dell’area di rigore il direttore di gara prima ha concesso la punizione, poi ha assegnato il penalty e successivamente si è rimangiato l’ultima decisione concedendo punizione dal limite tollerando contestualmente un atteggiamento intimidatorio dei giocatori gialloblù) è segno di mancanza di polso e di personalità. Poi magari il Palermo avrebbe perso lo stesso (anche se sull’eventuale 1-1 sarebbe cambiata totalmente l’inerzia del match) ma, intanto, l’arbitro avrebbe dovuto concedere il rigore ai rosanero. Perché il rigore c’era e perché l’assegnazione del penalty era stata proprio una sua decisione. Scaturita da un episodio che lui stesso aveva visto. E’ questa incongruità che fa riflettere e che getta delle ombre sulla buonafede di un ‘fischietto’ che, episodi a parte, non ha convinto affatto per il modo in cui ha gestito la gara e in cui si è lasciato condizionare dalle pressioni di un ambiente particolarmente caldo. Ambiente che ha influito sullo sviluppo di una partita molto spigolosa complici l’importanza della posta in palio e le code polemiche legate alla finale di andata.

Consapevole che quella di ieri sarebbe stata una partita diversa dalla sfida giocata mercoledì al Barbera, il Palermo (condannato definitivamente dalla rete allo scadere di Ciano sugli sviluppi di un contropiede) aveva interpretato bene il match dello Stirpe. Soprattutto nel primo tempo terminato a reti bianche, prima dell’epilogo negativo maturato nella seconda frazione di gioco. Epilogo, però, al quale hanno contribuito anche i rosanero, ingenui in occasione del gol del vantaggio firmato Maiello (al 7’ il centrocampista ha avuto troppa libertà per calciare da fuori area e indirizzare il suo tiro sotto il sette della porta difesa da Pomini) e incapaci, anche per il muro eretto con puntualità ed efficacia dai difensori gialloblù, di imporre le proprie qualità come avvenuto all’andata.

Gli uomini-chiave sono mancati e questa assenza è coincisa con la partita più importante della stagione, la prima terminata con una sconfitta sotto la gestione targata Stellone. Coronado è stato troppo fumoso e i due attaccanti Nestorovski e La Gumina, confermati dal tecnico che ha fatto copia e incolla dell’undici schierato mercoledì sera al netto dell’infortunio muscolare rimediato dopo sette minuti da Dawidowicz (espulso poi nella ripresa dalla panchina), non hanno saputo incidere rimanendo avulsi dal contesto del gioco. A dimostrazione che l’indice di pericolosità di una squadra non è direttamente proporzionale al tipo di modulo utilizzato. Non è detto che con un 3-4-1-2, che comunque Stellone ha fatto bene a riproporre anche per dare un segnale preciso ai suoi giocatori e agli avversari, una squadra sia più pericolosa rispetto ad altre situazioni tattiche. A fare la differenza è sempre l’atteggiamento dei giocatori, il modo in cui interpretano i sistemi di gioco e in cui riescono a creare le condizioni per lasciare il segno.

Antonio La Rosa

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