Il ministro Bussetti e i problemi delle scuole meridionali Tempo pieno, asili, fondi: «Tocca a lui impegnarsi di più»

«Cosa arriverà di più al Sud per recuperare il gap con le scuole del nord?», chiede il cronista al ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, in visita ad Afragola, Campania. «Ci vuole l’impegno del Sud, vi dovete impegnare forte, questo ci vuole». Forse pensando di dover riformulare la domanda, il cronista insiste: «Più fondi?». «No – rafforza il concetto il ministro voluto dalla Lega, ex provveditore degli studi di Milano – l’impegno, lavoro, sacrificio. Impegno, lavoro e sacrificio». 

C’è una slide dell’ultimo rapporto Svimez (l’agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno) sull’economia e la società del Meridione che nelle ultime ore viene contrapposta alle parole di Bussetti. Riporta due grafici con due dati: la percentuale di bambini da zero a due anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia – 16 per cento al Nord, 18.3 per cento al Centro, 4.7 per cento al Sud; e la quota di studenti della scuola primaria che hanno usufruito del tempo pieno: il 45.6 per cento al Centro-Nord contro il 15.5 per cento del Sud. E dentro il Sud, la Sicilia si ferma al 7.2 per cento, il dato più basso dopo il Molise. Tempo pieno significano 40 ore settimanali di didattica anziché 27. In un percorso scolastico di cinque anni, sono oltre duemila ore di differenza, i bambini siciliani accumulano due anni in meno di lezioni rispetto ai coetanei di tante regioni del Nord.

«Al Sud lo Stato non dà agli studenti quello che dà altrove – spiega Mila Spicola, insegnante palermitana, pedagogista e già referente nazionale scuola per il Pd – Non ci sono nidi, decisivi per migliorare i livelli di rendimento scolastico, perché annullano le fragilità di contesto all’ingresso, come il ministro sicuramente saprà. Non c’è il tempo pieno e nemmeno il tempo prolungato, se non in percentuali ridicole. Per questo trovo profondamente offensiva e razzista l’affermazione del ministro». A questo si aggiunge la situazione socio-economica-culturale di molte famiglie. «Al Sud una famiglia su due è in difficoltà se non in povertà – ricorda Spicola – I minori in povertà assoluta sono uno su cinque in Sicilia ad esempio. Bussetti sa inoltre che più della metà degli studenti in Italia ricorre a lezioni private per tenersi al passo con gli studi, ma non i poveri, non i figli delle famiglie in difficoltà, e questi vivono in percentuale maggiore al Sud e non possono permettersele. Per costoro non servono offese, serve un impegno dello Stato pari o maggiore a quello profuso altrove. Come la misura il ministro la mancanza di impegno degli studenti e dei docenti del Sud?». 

Secondo Tarcisio Maugeri, attuale preside in un istituto comprensivo a Sant’Agata di Militello (nel Messinese), dopo averne guidato uno a Legnano e più di recente la Livio Tempesta nel quartiere catanese di San Cristoforo, «il divario (o la diversità) tra Nord e Sud è iniziato nel 1861 con la famosa questione meridionale e non può essere risolto solamente dando alle scuole responsabilità o colpe perché esse rappresentano il muro basso della società. Il contesto in cui la scuola opera – continua – influenza il suo funzionamento. È più semplice lavorare in una scuola in cui l’amministrazione comunale, secondo legge, adempie ai suoi obblighi e concorre a garantire il diritto allo studio degli allievi; di contro, è più complicato gestire una istituzione scolastica che è presa di mira da atti vandalici, disprezzata dal territorio, dove la manutenzione ordinaria è quasi assente e quella straordinaria un miraggio per assenza di finanziamenti».

Partendo dunque dai dati, ecco che la richiesta di maggiore impegno si capovolge. «Bussetti oggi ha poteri decisionali, tocca a lui, non a loro, mostrare più impegno», attacca Spicola. Il ministro, dopo le critiche arrivate anche dall’alleato di governo del Movimento 5 stelle («Se un ministro dice una fesseria sulla scuola, chiede scusa. Punto», ha detto Di Maio), ha provato a spiegarsi meglio con un post su Facebook: «Una mia frase è stata estrapolata per farla sembrare un attacco. Faceva parte di un discorso più ampio. Guardiamo ai fatti. Da giugno sto girando l’Italia e sono stato al Sud molte volte. In Sicilia, in Campania, in Puglia, in Abruzzo, in Basilicata, ad esempio. Ci tornerò ancora. Per valorizzare il lavoro di tanti, docenti, presidi, genitori, ragazzi, che ogni giorno, con il loro impegno, fanno la differenza, che meritano la nostra attenzione. Al Sud servono fondi, certo. Come ovunque. Ne sono consapevole». 

E il punto sta proprio qui. Non servono fondi come ovunque, servono più fondi. Per arrivare agli stessi livelli di tempo pieno e asili nido della Lombardia servirebbe 40mila insegnanti in più. «Non sono richieste da Sud piagnone – aggiunge Spicola – si chiamano LEP, livelli essenziali di prestazione, articoli 117/119 della Costituzione. Mai assicurati al Sud. La studino».

Bussetti ha quindi precisato che «il Sud è sempre stato al centro della mia azione». E ha ricordato che «in Sicilia abbiamo avviato un progetto di potenziamento dell’offerta formativa pomeridiana in tutte le province per combattere la dispersione scolastica. Sono fondi aggiuntivi del Miur che ho voluto personalmente investire». L’accordo è stato siglato con la Regione siciliana lo scorso settembre a Palermo e prevede l’apertura pomeridiana di una scuola per provincia, in zone di frontiera ad alta dispersione scolastica. «Ma qui – ribatte l’insegnante palermitana – non si tratta di fare la carità a una scuola, come se avessimo l’anello al naso. Deve dare risposte strutturali e di sistema, solo così si innalzano dati di rendimento complessivi».

Salvo Catalano

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