La guerra di Sant’Agata 2019: l’opinione di un devoto «Non è più tempo di compromessi, ora tocca ai ceri»

Cittadini, viva Sant’Agata! Ho 44 anni e indosso il sacco da sempre, come mio padre, i miei nonni, i miei zii. Sono cresciuto nel cordone, imparando cosa fare, come muovermi, come comportarmi. Ricordo l’emozione della prima messa dell’Aurora con mia nonna materna. Come devoto di lunga data ho una mia personale lettura degli avvenimenti di quest’anno, legata a quel carico di tradizioni e regole non scritte che un devoto conosce e respira nel cordone. Già nel 2015 le pagine di MeridioNews hanno ospitato alcune mie riflessioni sulla festa. In quell’occasione, a generare malumori, furono le soste sospette di una candelora. Quest’anno invece ha generato sorpresa la scelta del maestro del fercolo, il capovara Claudio Consoli, di non effettuare la salita di Sangiuliano per la mancanza dei requisiti di sicurezza a causa della troppa folla nel cordone.

Ho riletto quanto scrissi allora, ed ho visto in quanto accaduto quest’anno la naturale conseguenza di quel percorso di rinnovamento della festa di cui parlai nell’articolo. Il sacco, per chi lo indossa con convinzione, è una responsabilità. Quella di Sant’Agata è una festa religiosa, ed è impensabile non richiamarsi ai valori cristiani, quali il perdono, l’accoglienza, la misericordia, la redenzione. Sant’Agata è l’esempio di una ragazza che non si è piegata ai compromessi, «Non è stata ostaggio di nessuno». Nel cordone le regole si tramandano, si sussurrano, gli eccessi vengono stigmatizzati e a nessuno piacciono atteggiamenti non consoni. Ma il cordone è sempre stato democratico, ha sempre accolto tutti. In pieno spirito evangelico: non si giudica, non si danno patenti, ma ci si aspetta un comportamento corretto. Tutti santi all’interno del cordone? Assolutamente no, ma neanche tutti delinquenti, anziLe parole di monsignor Barbaro Scionti, prima ancora che la decisione del capovara, non sono rivoluzionarie per chi vive il cordone con un certo spirito. Ma hanno il merito, una volta per tutte, di avere esplicitato in maniera chiara e inequivocabile la giusta maniera di approcciarsi alla processione. E dato che questo sentimento è condiviso, monsignor Scionti ha potuto affermare, rivolgendosi agli indisciplinati senza nessun timore di essere smentito: «Siete soli e isolati»

Per la prima volta la Chiesa di Catania – l’arcivescovo Salvatore Gristina ha telefonato subito per manifestare il suo pieno appoggio alla decisione presa – ha esercitato in maniera forte il suo ruolo di gestore della festa, dichiarandosi estranea a certe logiche e ricatti nel nome di Agata. In un colpo solo si è cambiato registro, non più un’accettazione passiva, con un dissenso mormorato sottovoce tra quei devoti che sono i primi a riscontrare, in certi atteggiamenti, una vera e propria offesa nei confronti della Santuzza, ma una presa di posizione che ha restituito la vera dimensione della processione: «I devoti di Sant’Agata non sono ostaggio di nessuno, i devoti di Sant’Agata sono per Sant’Agata. Cari delinquenti, perché di questo si tratta, siete soli e isolati». Un rimprovero, una demarcazione netta, la volontà precisa di non avere nessun dialogo con chi non vive il suo essere devoto nel modo corretto, convinto di poter esercitare chissà quale potere perché la “Santa è di tutti”. Tolleranza zero con chi maltratta Agata, dimenticando come Lei seppe farsi umile e obbediente al volere di Cristo, incontrando, per questa sua fermezza, la morte. Padre Scionti ha dato voce al malcontento dei devoti che non tollerano più che la Santa venga strumentalizzata, che diventi occasione di passeggio o vetrina od occasione mondana, tagliando i ponti con quelle teste calde che vogliono piegare la festa ad interessi personali

«U veru devoto nunnè cu si metti u saccu e vveni ‘ccà, ma cu ti porta rispetto e dignità»Questo grido che si sente scandire nel cordone deve far riflettere, e molto. E se nel passato, per spirito di pace, si è forse cercato di addivenire a compromessi per non turbare la festa, con la presa di posizione di mercoledì scorso si segna uno spartiacque: tutti benvenuti, a patto che si rispetti il luogo e la santa. E di questo atteggiamento ne è stato pieno interprete il capovara Claudio Consoli. Con serena fermezza, richiamandosi a quel codice etico che ogni devoto dovrebbe conoscere – secondo cui, ad esempio, non ci si sarebbe mai sognati di ignorare un invito diretto del capovara – ha avuto il coraggio di impartire l’ordine che nessuno si aspettava. Nella piena consapevolezza che accettare il ricatto avrebbe significato offendere Agata. 

Giorno 4 si è proceduto sotto la pioggia e il cordone era pieno. Basterebbe questo a far capire la gravità del gesto dei «delinquenti»: sono riusciti laddove anche la pioggia ha fallito. «Viva S. Agata, tiramu». Fa male vedere che sedicenti devoti con il sacco minaccino in maniera cruda e violenta il capovara e monsignor Scionti. Sulla base di queste minacce il prefetto ha disposto un servizio di tutela, ma vale quanto detto prima: indossare il sacco non rende automaticamente devoti di Sant’Agata. Quelli sono e rimangono delinquenti «soli e isolati» che nulla hanno a che fare con la festa. Forse bisognerebbe che i millennials parlassero con i devoti più grandicelli, quelli che sono arrivati a correre, quelli che hanno conosciuto la festa «di quando la salita dei Cappuccini si faceva alle 14». Affinché capissero come la festa fosse sfrondata di molti orpelli, condotta con una dimensione più intima e personale. Il cordone ha le sue regole, regole di buonsenso, che non contemplano atteggiamenti stonati in un posto che è, prima di tutto, un luogo di preghiera

Monsignor Scionti e Claudio Consoli, quest’anno, hanno fissato un limite alla maleducazione, nel rispetto di S. Agata. Un rimprovero paterno, un invito alla preghiera, che vuole essere un gesto di accoglienza. La speranza è che chi oggi ha sbagliato, l’anno prossimo partecipi col giusto atteggiamento. Riuscirà il Comune, oltre le parole di sostegno, ad essere così incisivo anche con le ordinanze dei ceri? Cittadini, viva Sant’Agata!

Mario Francese

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