Negli album delle figurine della mia infanzia, la Pro Vercelli non deve essere stato nulla più che uno scudetto colorato. Probabilmente soltanto uno stemma inquartato da una croce e impreziosito forse al massimo da una spruzzata dargento. Era il destino delle squadre che militavano nei campionati più infimi, cui la raccolta Panini non concedeva nemmeno lo spazio per una foto di gruppo; figuriamoci quello per volti e maglie dei singoli calciatori. Eppure, da prima ancora che raggiungessi letà del discernimento calcistico, il nome della squadra piemontese mi è sempre apparso in una lontananza leggendaria, irraggiungibile; ma diversa, e quanto diversa, dallanonimato di tante squadre di provincia. Di squadre, per esempio, come il Lanciano; lavversario dello sfortunato nostro esordio di sabato scorso.
E per forza: tra le prime nozioni che si insegnano ai pargoli, come tutti sanno, non può mancare la notizia dei sette scudetti e dicasi sette di cui la Pro Vercelli ha il privilegio di potersi fregiare. Sette scudetti che significano il quinto posto nellalbo doro del calcio italiano: in posizione lontana per distacco, ci mancherebbe, dalle incalcolabili stelle di Juventus, Inter e Milan. Ma posta a ridosso dellantichissimo Genoa (centoventun anni compiuti proprio in questi giorni), che di scudetti ne ha vinti nove; e saldamente davanti a molte grandi del nostro campionato, quali Fiorentina eNapoli che di scudetti ne hanno vinti solo due e perfino alla Roma, che è arrivata appena a tre.
Un pezzo della mitologia del calcio, la Pro Vercelli. Tanto che se, al tempo, mi avessero raccontato che, nei giorni della sua gloria, in questa squadra giocava come ala sinistra il piè veloce Achille, o che i suoi pali erano difesi da Polifemo un portiere dalla solida presa, sebbene un po limitato nella visione periferica io, probabilmente, avrei rischiato di crederci. Che poi, non sarei neanche andato tanto lontano dal vero: giacché nellalbum di famiglia di questa squadra trovano posto figurine mitologiche come quella Silvio Piola, uno dei più grandi centravanti della storia. Diventato campione del mondo nel 1938 e oggi intestatario, alla memoria, del piccolo stadio vercellese.
Solo più tardi, nelletà del disincanto, avrei saputo che il cammino della Pro Vercelli non era tutto lastricato di gloria. Che le ragioni per cui era impossibile incontrarla non erano le stesse per le quali a noi non è dato di incontrare Ettore o Ulisse; che la sua sparizione dal calcio reale raccontava in realtà un declino inesorabile e prosaico. Un declino iniziato quando il calcio abbandonò il dilettantismo dei suoi pionieri per abbracciare il professionismo. Ma passato anche attraverso episodi che non ci si aspetterebbe di raccontare parlando del calcio di un tempo tanto remoto.
In uno di questi episodi che ritrovo con stupore sfogliando la mia bibbia rossazzurra compare anche il nome del Catania. Il quale, tra i suoi ultimi precedenti a Vercelli, annovera un inglorioso 2 a 6 del giugno 37; in una partita inquadrata in un girone a quattro squadre del campionato di serie B, costrette a un gigantesco spareggio per non retrocedere in C. Quattro squadre che, dopo essersi affrontate in un vero e proprio torneo con partite di andata e ritorno, riuscirono a ritrovarsi tutte con lidentico punteggio in classifica. Un risultato certo non casuale, ma frutto di un callido accordo da ufficio inchieste: si voleva infatti tirarla per le lunghe al fine di convincere i dirigenti del calcio ad allargare la serie B, in modo da non far retrocedere nessuno. Non fu una gran furbata, però: perché fu imposta invece la ripetizione dello spareggio fosse ripetuto, seppure con una più snella formula a eliminazione diretta. E a farne le spese fummo proprio noi del Catania, degradati in serie C senza nessunissima gloria.
Ai nostri giorni, la Pro Vercelli è ricomparsa in categorie più dignitose anche a seguito di una di quelle vicende di ripescaggi, radiazioni, cessioni di titoli sportivi, che sono diventate comunissime nel calcio di oggi. Tanto che questanno lo stesso campionato cadetto è cominciato per metà sul campo e per metà nelle aule di giustizia sportiva, nelle quali si è stabilito di ripescare il Vicenza, non già perché abbia battuto sul campo le altre pretendenti, ma in virtù dei suoi meriti di blasone e botteghino: cioè, in sostanza, di un prosaicissimo calcolo economico. È oggi, quella di Vercelli, unonesta squadra della provincia piemontese, che certo non si fa più tentare dal misero orgoglio dun tempo che fu. E che domenica, nel confronto sulla carta improbo contro il Catania, ha fatto esattamente quel che deve fare unonesta formazione di serie B.
Il Catania, questa partita, ha avuto tutte le opportunità per ammazzarla. Alla fine del primo tempo vinceva uno a zero, ma soprattutto godeva del vantaggio di giocare con un uomo in più. Con testarda ostinazione, però, i padroni di casa hanno raggiunto il pareggio, pur giocando in inferiorità numerica. Hanno poi riequilibrato il conto degli uomini, causando lespulsione di un difensore rossazzurro. E ci hanno infine superati, sfruttando al meglio due punizioni dal limite.
Al Catania è mancata, si può dire, tutta la spina dorsale della squadra. Dal centravanti di rincalzo Çani, invisibile sostituto dello squalificato Calaiò; alla coppia centrale di difesa Spolli–Sauro, inguardabile in occasione del primo e del secondo gol; e infine al portiere Frison, imperdonabile sulla punizione che ha dato alla Pro Vercelli la vittoria per 3 a 2, sulla quale si è mosso troppo presto lasciando scoperto il proprio palo. Nel complesso, per il Catania, qualcosa di più che una sconfitta. Direi proprio una figuraccia.
Ora, ciò che mi preoccupa non è tanto il fatto in sé che, dopo due giornate, abbiamo racimolato appena un punto contro avversari teoricamente molto più scarsi di noi. Mi preoccupa assai di più la circostanza che, oggi con sei reti al passivo, possiamo vantare la peggior difesa del campionato di serie B.
E in più, il calcio mercato è già finito. Precisamente alle 23 del primo settembre.
[Leggi il post originale su La pelota no se mancha]
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