Il Catania e il dovere di essere ottimisti Calaiò, il Principe per la traversata della B

Va bene: se al calcio si giocasse in infermeria, anziché su un prato verde, avremmo sicuramente un organico capace di ammazzare il campionato. Potendoci permettere lungodegenti di tutto rispetto che farebbero invidia a molte squadre: come i portieri Terracciano e Frison, il mediano Rinaudo e, soprattutto, l’inossidabile Almiron; che questa settimana è subito tornato nella lista degli indisponibili, dopo un’imprevedibile e fugace apparizione, martedì scorso, sul campo di Crotone.

Va bene: se le classifiche si leggessero al contrario, avremmo avuto, questo pomeriggio, di che rallegrarci. Poiché – essendo stata la nostra partita posticipata alle 18 di domenica, quando quasi tutti gli altri avevano già giocato – Catania e Pescara si trovavano fino a quell’ora a pari merito all’ultimo posto, con il misero bottino di tre punti raggranellati in cinque gare.

Va bene: nulla di ciò che s‘è detto sulla campagna acquisti condotta da Cosentino merita, in base a quanto s’è visto oggi, di essere ripensato o rimangiato; e poco importa qui stabilire se si sia trattato di una campagna acquisti imprudente e malaccorta, o se ci sia stata invece dietro di essa una qualche logica finanziaria confliggente, o comunque non ben conciliabile, con la nostra aspettativa di tornare in serie A.

Va bene tutto questo, o per meglio dire tutto questo va male come sempre. Ma almeno stasera, dopo la prima vittoria stagionale, si ha il dovere di essere ottimisti. Ottimisti per una vittoria che qualcuno dirà figlia del caso, della statistica, della legge dei grandi numeri. Ma che a me pare figlia, invece, del nonostante. Perché ottenuta nonostante abbia giocato meglio il Pescara che il Catania; nonostante l’affanno di Capuano inventato nel ruolo che un tempo fu di Ciccio Lodi; nonostante le surreali traiettorie di tutti i tiri tentati da Leto; nonostante Gyomber e Monzon; nonostante cinque minuti di recupero che non finivano mai e nonostante, soprattutto, il quasi gol del Pescara nel pieno di quel recupero: quando un potente diagonale di Pasquato s’è prima infranto sul palo, e poi è rotolato in braccio al nostro portiere Anania.

Ce ne vuole, lo so, per essere ottimisti. Per riuscirci, io, ho bisogno addirittura di scomodare Machiavelli. E il suo famosissimo Principe: un trattato ingiustamente considerato come la summa del più cinico pessimismo, la bibbia della più algida e spregiudicata Realpolitik. E che è invece un libro nutrito di una non comune carica d’utopia; che apparirà evidente se si riflette che Machiavelli sperava, a modo suo, di far nascere l’unità d’Italia nei primi decenni del Cinquecento. Vale a dire tre secoli e mezzo prima che la storia arrivasse a partorirla.

Sostiene appunto Machiavelli che, perché un popolo trovi un principe capace di riunirlo e liberarlo, è prima necessario che la sorte sfoghi, su quel popolo o sul futuro principe, tutta la malignità di cui è capace. Come accadde agli Ebrei che, prima di trovare un Mosé, dovettero sopportare la schiavitù in Egitto. Come accadde a Romolo che, prima di fondare la futura capitale del mondo, fu alla nascita abbandonato e messo a rischio di morte. È dai rovesci della sorte, insomma, che prende la rincorsa il successo dei padri di ogni patria. E dato che di questi rovesci, in casa rossazzurra, ne abbiamo già avuti in abbondanza, resta solo da chiedersi se esista in casa nostra un principe che abbia le qualità per tirarcene fuori. O almeno per provarci.

Io oggi, quel principe, a un certo punto l’ho visto. Precisamente al quinto minuto del secondo tempo, quando un passaggio dell’imberbe Jankovic è andato a pescare Calaiò, decentrato sulla sinistra dell’area del Pescara. Il centravanti del Catania, che riceveva in quel momento la prima palla giocabile della partita, non ci ha pensato un attimo. È andato subito a sbatterla in rete con un tiro carico – più che di tecnica – di forza, rabbia, tensione agonistica, disperata volontà di vincere e consapevolezza che, se si fosse buttata via quell’occasione, probabilmente non se ne sarebbe presentata un’altra. Un tiro che ha piegato la mano sinistra del portiere del Pescara, per poi toccare il palo e rimbalzare – a scorno della malasorte – dentro la rete avversaria.

È Calaiò, dunque, il Principe rossazzurro. Il giocatore che più di tutti sembra dotato di quelle virtù – che si fondano certo sulla conoscenza dell’arte del calcio, ma comprendono anche una certa cattiveria e un’irruenza a volte eccessiva, ma per noi assolutamente necessaria – che lo candidano a guidare la nostra lunga traversata nel deserto di questo campionato di serie B.

Sono ottimista, sia chiaro, perché voglio esserlo. E non mi sfugge – come ci avverte Machiavelli in altre parti della sua opera – che un principe potrà sì fondare uno Stato, ma non potrà governarlo per sempre rimanendo un uomo solo. Che gli Stati si mantengono meglio quando assumono la forma di repubblica; quando insomma smettono di affidarsi alla forza individuale di un condottiero, per diventare un organismo collettivo, dinamico, complesso.

Il guaio è che quest’organismo collettivo difficilmente potrà maturarsi prima del mercato riparatorio di gennaio. Sempre che quest’ultimo si sottragga ai rovesci dell’avversa Fortuna; la quale ai miei occhi si presenta, chissà perché, con la faccia inspiegabilmente beata di Pablo Cosentino. So però che stasera, per una volta, quel destino avverso è stato piegato. E che a darci qualche timida speranza sono oggi quei singoli giocatori – Calaiò e pochi altri – che mostrano di poter prendere in mano la squadra, di saper risolvere le partite con le loro doti individuali.

Sarà una lunga traversata, quella del campionato di serie B. Lunga, e dall’esito incerto. Ma, per stasera almeno, sia lode a Calaiò. E sia lode, s’intende, al buon vecchio Machiavelli.

Claudio Spagnolo

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