I rapporti di Cosa nostra sull’asse New York-Sicilia Le «camminate» del boss per assunzioni e consigli

L’immagine di una mafia «all’antica», che da Castellammare del Golfo si era impadronita di Brooklyn. Ottantanove anni dopo, l’asse italo-americana di Cosa nostra è ancora realtà. Faccendieri e affiliati continuano a volare da New York a Palermo per poi spostarsi in provincia di Trapani, nel feudo di Francesco Domingo, 64 anni, conosciuto con l’appellativo di Tempesta. Finito in manette ieri in un’operazione dei carabinieri del nucleo investigativo, perché considerato il nuovo reggente della famiglia mafiosa di Castellammare. La stessa che ha portato a un avviso di garanzia per concorso esterno al sindaco di Castellammare Nicolò Rizzo. Un boss alla vecchia maniera, Domingo, storicamente legato a Matteo Messina Denaro e imparentato con il primo boss dei mafia italo-americana Salvatore Maranzano, volato negli Usa nel 1927 e tre anni dopo diventato capo dei capi.

Tra le parentele eccellenti di Domingo c’è anche quella con Salvatore Montagna, ucciso a Montreal nel 2011 ed ex reggente della famiglia mafiosa dei Bonanno. La vita di Domingo, dopo avere scontato diversi anni di prigione per mafia, era fatta di summit e incontri nei suoi terreni di contrada Gagliardetta. Chi arrivava da quelle parti, secondo le carte dell’inchiesta, sapeva di avere davanti «il punto di riferimento principale per gli affiliati statunitensi nel territorio di Castellammare». Un capomafia riconosciuto oltreoceano che aveva una parola buona per tutti. Anche per chi voleva fare le valige è tentare la fortuna dall’altro lato del mondo. «Tu vuoi andare in America? Ti ci mando io», diceva Domingo, assicurando al suo interlocutore anche un lavoro e buoni guadagni.

Nell’estate 2016 al casolare del boss bussò Antonino Micheal Mistretta, originario di Alcamo e ritenuto dall’Fbi «un affiliato della famiglia Bonanno, vicino a Baldassare Baldo Amato, emigrato da Castellammare appena maggiorenne e che negli Stati Uniti ha rimediato un ergastolo per due omicidi di mafia. Domingo e Amato vengono intercettati dagli inquirenti mentre fanno «una camminata». Un faccia a faccia «di natura mafiosa» in cui l’italoamericano avrebbe chiesto ragguagli sulla posizione di un terzo uomo. «Questo picciotto – spiegava Domingo -, questo americano, voleva tipo una conferma da me». Cioè una sorta di autorizzazione. 

Domingo sarebbe stato l’unico interlocutore per chi arrivava da oltre oceano. In un’intercettazione tra il boss e il fratello Michele si rimanda a un certo Jo, persona non identificata, che avrebbe ordinato proprio all’italoamericano Mistretta «di rivolgersi a Castellammare solo ai due Domingo». «Se devi andare al paese – dicevano tra loro intercettati – devi andare a trovare loro, non devi andare a trovare nessun altro cristiano». Don Ciccio per gli investigatori è una sorta di custode del codice comportamentale della mafia di una volta. «Stai attento – diceva al fratello – Parlare poco e ascoltare. E tutto il discorso non lo dire mai a un altro, mezzo discorso e vedi cosa ti viene a dire».

Al cospetto di Domingo, Mistretta ci tornò qualche mese dopo, sempre nel 2016, accompagnato da Giovanni Carollo, pure lui ritenuto dall’Fbi affiliato alla famiglia mafiosa fondata da Joe Bonanno. Anche lui, nemmeno a dirlo, partito da Castellammare. Al centro dell’ennesima «camminata senza telefoni» ci sarebbe stata, scrivono gli investigatori, «la richiesta d’intervento per ottenere una concessione da parte del Comune di Castellammare per realizzare una piscina nella sua proprietà». Per riuscirci don Ciccio prometteva di contattare un ex dirigente comunale: «Me la vedo io di trovare a qualcuno per mandargli a dire le cose», assicurava. Relazioni con tutti quelle di Domingo, compreso l’italoamericano, originario di Alcamo, Giuseppe Vultaggio. La richiesta? Un posto di lavoro nel settore dei rifiuti per un picciutteddu di 32 anni.

Dario De Luca

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