Tu sì che Attores.
Vi siete accorti che i telegiornali quando citano le attività chiuse dai decreti del governo, pronunciano
spesso l’elenco in quest’ordine? Chiuse palestre, piscine, cinema e teatri.
Cioè è come se dico, oggi a pranzo patatine, lumache, mela cotogna e falso magro.
Oltretutto alla popolazione media, appassionata di Tu sì que vales e Gf Vip si lancia un
messaggio pericoloso, ossia che creare cultura equivale a uno stile libero fatto bene o a uno
squat rassoda glutei e che l’attore e l’insegnante di pilates fanno un po’ lo stesso mestiere.
Che se chiudono entrambi subiscono gli stessi danni.
Invece no.
L’insegnante di pilates spesso è anche gestore della sua stessa palestra, ha tutto da perdere. L’attore invece – diciamocela tutta – che ha da perdere? Morto di fame era e morto di fame
resta.
Anzi, certuni 600 euro fissi per più di due mesi non li avevano mai visti.
Inoltre, continuando i paragoni, all’attore fare pilates aiuta, aiuta il suo equilibrio, il baricentro,
acquista maggiore armonia nei movimenti; ma al maestro di pilates che l’attore reciti o non reciti,
cosa cambia? Che giovamento gli porta? Anzi forse nemmeno se lo va a vedere a teatro. A meno
che l’attore non porti in scena uno spettacolo sul pilates. Ma questo sarebbe un caso
eccezionale, e ci sono molte probabilità che sia uno spettacolo brutto, talmente brutto che il
maestro di pilates non tornerebbe più a teatro, e strapperebbe all’attore l’abbonamento in
palestra.
Forse per chi non fa questo mestiere, sembrerà strano ciò che leggerà di seguito. Ma, insomma, qui scrivo per un motivo, no? Oltre che per sdilliriare anche per darvi qualche
informazione sul mio settore di competenza.
Allora, l’attore medio dopo essersi formato in una scuola – qualsiasi essa sia, dalla più prestigiosa
fino all’accademia privata, le cui lezioni vengono svolte nel sottoscala del cugino del maestro di
dizione – ha l’obiettivo di cominciare a mettere in pratica ciò che ha imparato, com’è ovvio che
sia e, quindi, praticare la professione. Ma il giovane attore non sa che, secondo il contratto
collettivo nazionale del lavoro (personale artistico) all’articolo 4, si qualifica allievo chi inizia l’attività di attore.
Tale qualifica cesserà non appena l’allievo abbia raggiunto:
– per chi possieda un diploma di abilitazione rilasciato da una scuola qualificata, cento gionate
lavorative prestate nei settori del cinema, teatro, radio e televisione;
– per chi non possieda un diploma di abilitazione rilasciato da una scuola qualificata, trecento giornate
lavorative, oppure centottanta giornate lavorative negli ultimi due anni, prestate nei settori del cinema,
teatro, radio e televisione.
Quindi alla luce di questo, la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo, alcuni anche a una
veneranda età, risulta ancora allievo. Lo sapevate?
No, ve lo dico io. Anche perché non lo sanno nemmeno gli attori.
E alcuni risultano allievi, non perché non abbiano lavorato abbastanza, ma perché non gli sono
mai stati versati i contributi. E i datori di lavoro se ne sbattono se sei allievo o professionista, il
contratto nazionale se lo fanno da soli e, spesso e volentieri, ti rifilano una paga che è più vicina a quella da allievo.
Quindi, qui bisogna schierarsi: o si ammette che il contratto collettivo nazionale del lavoro, così com’è, è un’emerita idiozia – e
questo delle giornate lavorative senza alcun controllo, sarebbe uno dei tanti motivi – oppure si
ghettizza chi risulta ancora allievo, che oltre a essere sfigato, non raggiunge quelle giornate
perché forse non ha mai lavorato coi teatri che contano, teatri che invece fanno del contratto la loro
personale sacra Bibbia, stando sempre attenti a seguirlo alla lettera per non ricevere da Dio le
sette piaghe d’Egitto.
C’è anche da dire che questa regola divide in maniera netta gli amatori dai professionisti.
Se sei un amatore sicuramente non ambisci a raggiungere tutte quelle giornate lavorative, proprio
perché non lo fai di mestiere; ma se sei un giovane allievo professionista e un giorno vivrai di
questo, dovresti arrivare a quei numeri. Certo, sempre se il lavoro nero non si mette in mezzo.
Quindi cosa fa di un attore un giovane professionista? Le giornate lavorative? Sì, almeno sulla
carta.
Che poi trecento giornate sembrano pure pochine. Figuriamoci cento per i diplomati in accademie
riconosciute; di conseguenza cosa volete che siano le trenta giornate lavorative, richieste dal
ministero per accedere al bonus durante questo periodo di emergenza. La risposta è stata
che il numero si è dovuto portare a sette perché la maggioranza degli attori non raggiungeva in media
nemmeno sedici giorni di contribuzione. Un disastro e soprattutto una gran figuraccia. Ma non dei
lavoratori dello spettacolo, poveracci, ma del governo nazionale che nella sua storia non è
riuscito mai a riconoscere un sistema di tutele per la categoria, tutele che appartengono solo ai
potenti del settore della cultura, che rappresentano una minoranza sia nei numeri che nella forza
lavorativa e produttiva del settore.
Io sono solo un operatore culturale, non mi metto in mezzo al calderone degli attori, ho imparato
molto tempo fa a tirarmene fuori, ma ogni giorno dalla mia parte è una lotta continua in trincea,
contro la burocrazia, le supercazzole degli istituti previdenziali, l’ignoranza degli impiegati pubblici
e la superficialità della comunità.
Quindi, per concludere, se accendete la tv e vi capita di imbattervi in un tg, guardare i titoli e
sentire dalla voce fuori campo del giornalista in studio l’elenco delle attività chiuse da un Dpcm qualsiasi, non vi indignate se troverete il teatro in fondo alla lista, è assolutamente normale. Prendetelo come un messaggio subliminale da lanciare alle masse, che non vedono l’ora che
quello stesso tg finisca per non perdersi la puntata del loro talent preferito; dove lì però la
performance dell’attore, del musicista o del cantante acquista un valore totalmente diverso
perché Maria De Filippi si alza, applaude e dice a gran voce che per lei «vales», e come se vales.
Francesco Maria Attardi è attore, regista e videomaker siciliano, nel 2016 co-fondatore con Francesca Ferro della start up teatrale Teatro Mobile di Catania.
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