Non solo mare, Etna e barocco. Le potenzialità del turismo a Catania potrebbero passare anche dalle inesplorate risorse archeologiche. Beni del periodo greco o romano, ma anche medievale e rinascimentale, per lo più sconosciuti ai cittadini, non sempre di facile accesso per i turisti e spesso nemmeno segnalati da un cartello. Se non immersi nel degrado. A mancare sono i fondi, ci si sente rispondere da più parti. Ma alla base sembra non esistere una vera programmazione da parte degli enti locali – su tutti la Regione Siciliana – che riescono a farsi sfuggire anche i finanziamenti europei pensati proprio per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. CTzen, con l’aiuto del tecnico archeologo catanese Iorga Prato, ha raccolto i principali in una mappa commentata: beni facilmente visibili e visitabili (in verde), bellezze da scoprire con un po’ di pazienza (in giallo) e veri e propri misteri negati a cittadini e turisti (in rosso). Una sorta di guida alla scoperta della Catania archeologica e all’analisi della sua occasione mancata. Almeno finora.
Dei 103 siti censiti nella recente mappa a cura degli archeologi Maria Grazia Branciforti – anche direttrice del parco archeologico etneo – e Vincenzo La Rosa, meno della metà esistono ormai solo in letteratura. Aggiungendo quelli fuori dalle mura Cinquecentesche della città o di periodi successivi, la situazione non migliora. L’entusiasmo per una cartina per metà colorata di verde passa presto quando si nota che la maggior parte dei beni liberamente fruibili non rientra in nessun progetto. E spesso non è nemmeno segnalata da un cartello che aiuti il turista meno esperto, come nel caso dei resti del ‘600 dell’acquedotto benedettino, tra le opere idrauliche più imponenti del suo tempo.
Fanno eccezione alcune delle testimonianze del passato che rientrano sotto la tutela del parco archeologico etneo, come il teatro romano di Catania, meta principale dei turisti che approdano in città anche solo per pochi giorni. Una struttura, quella del parco-museo, che presto potrebbe diventare autonoma, staccandosi dall’assessorato regionale ai Beni culturali – da cui oggi dipende -, con tanti progetti ma poche risorse.
Al gruppo dei resti archeologici in giallo appartengono per lo più quelli che si trovano in strutture o terreni privati. Tra i più noti, il cosiddetto mausoleo Modica, nell’omonima villa, o la necropoli sotto ai grandi magazzini La Rinascente. Ma anche testimonianze in anonimi condomini. Nonostante la legge prescriva al proprietario di tutelare il bene e renderlo accessibile su richiesta, troppo spesso la norma viene ignorata. Senza troppa pressione da parte della Sovrintendenza etnea. Nella stessa categoria si trovano anche strutture antiche accessibili su prenotazione e altre solo parzialmente visitabili per motivi di sicurezza.
Alla zona rossa, infine, appartengono i beni non accessibili. Perché chiusi dentro strutture private abusive o edifici pubblici abbandonati. Ma anche perché circondati da barriere architettoniche che nessuno si è mai preoccupato di rimuovere. Come nel caso dell’ex convento dei Gesuiti – chiuso da anni e in attesa di un progetto di messa in sicurezza – o degli scavi di via Crociferi – il cui accesso attende ancora di essere adeguato alle normative europee. In entrambi i casi diretta responsabilità della Regione Sicilia.
Ma in uno scenario desolante sono tanti i cittadini che non si arrendono e fanno da sé. Come spesso accade anche per altri servizi cittadini. Associazioni come Etna ‘ngeniousa, Officine Culturali e Gammazita garantiscono infatti ai visitatori – su base volontaria – tour dei beni o anche solo la possibilità di fruirne. Un modello ancora troppo poco imitato dalle istituzioni.
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