Ho ricevuto un sms da Mark Knopfler Di genitori, calia e ragazzi telecomandati

Non sapevo che esistesse l’sms di avviso sul telefonino del genitore, che il figlio è entrato in classe. Ho appreso questa notizia all’Open Day – per chi non fosse avvezzo a questo termine in uso oggi, significa il giorno d’apertura delle scuole superiori alla visita guidata rivolta ai ragazzi (e ai loro genitori) che dovranno iscriversi al primo anno entro febbraio – di un istituto che la snocciolava come una voce pregiata dell’elenco dei servizi offerti per la sicurezza.

E mentre la gentile professoressa parlava, io mi sono fermato, così come facevo a scuola da ragazzo: quando strideva qualcosa, rimanevo al posto, ma con la mente me ne andavo.

Ho visto le facce soddisfatte di quei genitori che hanno già passato gli anta, quelli della calia dimenticata, dei giri con la Vespa 90 truccata alla Scogliera nelle mattinate di freddo da morire, quelli delle gite sull’Etna con la neve che bloccava le ruote della Vespa. Qualcuno di loro andava ai muretti di Acicastello con la chitarra a suonare Why worry e faceva il verso al mostro Mark Knopfler.

Su questi volti diventati adulti, ho visto le loro paure di non essere bravi genitori, calmarsi con quell’sms della scuola: «Tuo figlio è qui». Tutto il controllo che loro, che noi non abbiamo avuto, adesso è in una sola mano. Nell’altra però non teniamo abbastanza cultura per bilanciare. Così il rispetto perde, il controllo vince. La proprietà vince, l’appartenenza perde.

Why worry, mi dico: questi ragazzi telecomandati prima o poi cresceranno lo stesso. E nel frattempo, quanta rabbia fomenterà questo circondariale grande-fratello? Quanta voglia repressa di poter sbagliare rimarrà incastrata nei nuclei di sviluppo di questi ragazzi? Quando sapranno riconoscere autonomamente il limite tra il giusto e l’ingiusto, o più semplicemente tra umanità e disumanità? Se mai riusciranno.

Why worry, Sergio. Le cose sono due. O l’idea dei braccialetti elettronici-microchip sotto cute per un mondo controllato e uniforme, con qualche prevista sbavatura solitaria. Oppure l’idea di qualcosa di inimmaginabile, di un mondo in formazione che già non mi appartiene più.

Why worry, there should be laughter after pain. Perché preoccuparsi, ci saranno risate dopo il dolore.

Sergio Mangiameli

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