“Gli spot pro-mafia? Un’artistica minchiata”

I manifesti di Davide Valenti hanno su di me l’effetto opposto di quei volantini con cui nel 2004 è stata tappezzata Palermo e nel 2006 Catania. Mi azzerano il sorriso e mi ammazzano l’orgoglio. È vero, tra me e Addiopizzo c’è del tenero. È anche vero che quella dei ragazzi di Addiopizzo non è arte, ma realtà, e la loro analisi mi pare molto più profonda di quella del Valenti. È pure vero, però, che l’arte è arte: può non avere nulla a che fare con l’analisi e l’utilità. Io la amo anche per questo, quindi non sono abituata a giudicarla con parametri limitanti.

Peccato che l’“artista” in questione dica che la “pubblicità di un cattivo” sia giustificata dal fatto che «non esiste nulla che non abbia motivo di esistere e che non abbia qualcosa di buono». Quindi l’utilità la tira in ballo lui. Bella frase quella, ma mi sembra alquanto superficiale attribuirla anche alla mafia.

Cos’ha di buono la mafia? Svuoto la mente, abbandono ogni giusto pregiudizio, dimentico Borsellino, Falcone, Montana, Chinnici, Fava, Impastato e tutti gli altri, mi scordo di tutti i mafiosi che succhiano il sangue del mio quartiere e della mia città, allontano la paralizzante paura che qualcuno che conosco potrebbe rovinare la sua vita e quella della sua famiglia per sempre, spinto a fare un giuramento dal quale non si torna indietro, perché vendere cocaina è meglio di restare disoccupato… Ma niente, una risposta a questa domanda non la trovo. Eppure, secondo Valenti, la pubblicità della mafia può «svelare il lato oscuro dello Stato». «Sempre, cercando cosa c’è di buono nel male, viene fuori ciò che c’è di male nel bene», dice. Ma dove vive questo qui? Veramente senza questa operazione pubblicitaria non ci saremmo accorti che c’è del marcio in Danimarca? Ovvero in Italia? E poi davvero: contrapporre in maniera cosi semplicistica la mafia allo Stato, mi pare, nel 2011, più che un’operazione artistica, quella di un ingenuo. Riguardo alle tasse di cui si lamenta, sicuro che la mafia non c’entri nulla? Inoltre, il pensiero secondo il quale le malefatte della mafia sono da lodare, e da preferire, perché quelle dello Stato appaiono più gravi, mi sembra rispecchiare una triste abitudine italiana che qualcuno, vedo, è riuscito a far attecchire con successo.

Con i manifesti pro-mafia, dicono, Valenti ha voluto realizzare un lavoro sulla libertà di espressione. «La causa remota del progetto – spiega lui – è la volontà di manifestare la più ampia libertà d’espressione possibile». Evviva la libertà di espressione, concordo. Me ne avvalgo e dico che l’operazione artistica di Valenti è una minchiata. La sua arte non è giusta o sbagliata, è solo brutta. Però, non oscuriamoli quei cartelloni, non facciamo gridare l’artista alla censura. Abbasso la censura, sempre. Parliamone, giudichiamolo, ne abbiamo il diritto come fruitori dell’arte, spieghiamo le nostre ragioni, ché comunque, forse, Valenti non è un ingenuo, né un superficiale, è solo uno che vuole far parlare di sé. Non c’è niente di male. Però, mi domando, si può chiedere a un artista di essere onesto?

Agata Pasqualino

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