Reduce dalla prima nazionale al Rossetti di Trieste e dalle repliche allo Stabile di Bolzano,
debutta al Palazzo Chiaramonte Steri di Palermo, martedì 15 giugno, alle ore 20.30
per la stagione estiva Teatro Biondo. Il misantropo di Molière nella messa in scena di
Fabrizio Falco prodotta dallo Stabile palermitano.
A partire da un classico della letteratura teatrale barocca, che nel corso della storia si è
proposto come un’inesauribile fonte di chiavi di lettura, aprendo a un numero infinito di
interpretazioni, Fabrizio Falco (che interpreta il ruolo di Filinto) guida una compagnia di
giovanissimi attori siciliani nel vorticoso gioco di specchi proposto da Molière, per invitare
a riflettere sul senso e sul valore estetico e morale di cui la società odierna si trova vittima e
artefice.
Davide Cirri, che è anche regista assistente, interpreta il ruolo di Alceste, al fianco di
Claudio Pellegrini (Oronte), Alice Canzonieri (Célimène), Rita Debora Iannotta
(Eliante), Doriana Costanzo (Arsinoè), Costantino Buttitta (Acaste), Luca Carbone
(Clitandro), Francesco Cristiano Russo (Basco).
Le scene sono di Luca Mannino, i costumi di Gabriella Magrì, le luci di Marco Santoro e
le musiche di Angelo Vitaliano.
«Cos’è la verità, cos’è la menzogna? – si chiede Fabrizio Falco – Cechov affermava che si
può fingere dovunque tranne che nell’arte. Forse siamo chiamati proprio a questo, a non
mettere più maschere, a fare i conti definitivi. Il genio di Moliere ce lo fa sentire. Lavorando
sul Misantropo si percepisce subito la necessità, l’urlo di qualcuno che chiede verità.
Cercherò di inseguire la verità di Moliere, per quanto inafferrabile, ma sarà proprio l’anelito,
la spinta verso, che creerà la giusta tensione».
«La verità dei rapporti è la richiesta di Alceste – continua Falco – e
questa sarà la linea guida della regia. Nient’altro. Il teatro ha bisogno di poco per vivere da
un punto di vista esteriore, ma ha bisogno di molto lavoro invisibile, ha bisogno di verità. In
un’epoca di fake news, credo che anche nel nostro mondo ci sia bisogno di verità. Una verità
che deriva dalla profondità di sé, dei sentimenti, dei rapporti tra le persone per riscoprirsi
individui fino in fondo e comunità fino in fondo. Ho lavorato per abbattere le maschere e
provare a toccare il fondo dei cuori tra noi attori e toccare il fondo dei cuori degli spettatori».
Alla base del disegno registico c’è l’idea di trasformare l’edificio teatrale nel salone della
casa di Célimène, dove si avvicendano tutti i personaggi della commedia e nel quale il
pubblico è anch’esso partecipe. La scena, aperta su un palcoscenico spoglio, consente agli
attori di occupare tutto lo spazio a loro disposizione, abitando la platea e rompendo così la
quarta parete in un’interazione confidenziale con gli spettatori.
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