Giorno di Memoria, i luoghi della Catania ebraica «Resti di sinagoga coperti da erba e spazzatura»

Una comunità attiva – dal punto di vista economico, sociale e culturale -, ben integrata con il tessuto della città e con i cittadini di altre religioni. La presenza ebraica a Catania risale al periodo romano, ma è dal medioevo che si hanno le testimonianze più importanti. «Il primo nucleo abitativo nasce nell’area di piazza Dante», racconta il tecnico archeologo Iorga Prato. L’antica Giudecca suprana (superiore) è oggi una zona frequentata da migliaia di catanesi, ignari di quanto accadeva secoli fa negli stessi luoghi. Dal cuore del quartiere oggi alle 15.30 si snoderà una passeggiata organizzata dal comitato Antico Corso in occasione della giornata della Memoria. A curarla sarà Prato, che anticipa a MeridioNews alcune delle vicende delle quali tratterà nel corso dell’iniziativa. 

«La comunità ebraica, a partire dalla fine del 1200, si espande a sud, seguendo il percorso dell’Amenano». Il fiume in questo periodo cambia nome: si trasforma in Iudicello, «sia perché bagna i quartieri ebraici, sia perché gli ebrei ne modificano e sfruttano il corso». Nasce così la Giudecca suttana, tra via Vittorio Emanuele e San Cristoforo fino a piazza Duomo e all’odierna Pescheria. «Attività che nasce dall’antico mercato ittico ebraico», precisa Iorga Prato. Il quartiere superiore è più frequentato da professionisti; qui ancora oggi sono visibili l’antico impianto urbanistico, con i palazzi costruiti nell’800 che ricalcano la pianta degli edifici preesistenti, e qualche cisterna. 

«Ci sono anche i resti della sinagoga, vicino via Bellia», nei pressi di via Plebiscito. «Ma si trovano in un cortile privato, coperti da erbacce e spazzatura», aggiunge con un pizzico di amarezza l’esperto. Il quartiere inferiore, invece, è abitato dai catanesi ebrei che si dedicano ad attività artigiane e mercantili. Su via Gisira e nei dintorni di piazza Federico di Svevia si aprono le attività dei commercianti e le case degli operai. Un’attività importante è la conceria, che sfrutta il flusso di acqua del pozzo di Gammazita. Sono le maestranze cristiane ed ebraiche a portare a termine la costruzione del castello Ursino e su una delle torri è ancora visibile una menorah, il candelabro a sette bracci. 

Per circa due secoli «la comunità è fusa con il resto della città», dice il tecnico archeologo. La scuola medica ebraica contribuisce a gettare le basi del Siculorum gymnasium, l’università di Catania, fondata nel 1434. «I medici catanesi ebrei sono parecchio rinomati – afferma Prato – I loro saperi confluiranno in maniera naturale all’interno dell’ateneo e fino al 1900 la medicina etnea è considerata una delle più all’avanguardia a livello mondiale». Una ebrea catanese, Verdimura de Medico, è anche «una delle prime donne di cui si abbiano notizia che ha ottenuto il permesso di praticare la medicina fisica», ovvero la chirurgia e il contatto con i pazienti.  

Il clima pacifico si interrompe il 31 marzo 1492, con il decreto dell’Alhambra. Iniziano le espulsioni degli ebrei dai territori sotto la dominazione spagnola, Sicilia compresa. «In pochi anni le campagne di odio diventano sempre più pressanti». E sebbene siano passati alla storia anche i tentativi compiuti da alcuni cristiani di proteggere le comunità ebraiche nell’isola, la violenta caccia prende presto il sopravvento. «Tra il 1492 e il 1700 nei registri del tribuno inquisitorio appaiono più di 400 roghi in tutta la Sicilia di ebrei che si sarebbero finti cristiani». Qualcuno cambia cognome e finge di convertirsi, ma la maggior parte della comunità catanese si disperde: in Turchia, all’estero, e in Italia tra la Calabria e Roma. Nella capitale, «per secoli resiste la schola siciliana che seguiva i rituali medievali – dice Iorga Prato – ciò che restava della testimonianza dell’antica tradizione siciliana».

Successivamente qualcuno fa ritorno alle falde dell’Etna. «Un esempio è la famiglia di commercianti Caflisch». Oppure quella di un ricco imprenditore che – nella fine dell’Ottocento – costruisce il castello di Leucatia, a Canalicchio, decorato con un intreccio di stelle di David. La struttura avrebbe dovuto essere la dote per il matrimonio della figlia. Ma la giovane, contraria alle nozze, «si lancia dalla torre. Da qui è nata la leggenda di un fantasma che si aggira nel castello – racconta il tecnico archeologo – Per anni nessuno lo ha voluto comprare, fino a che il Comune di Catania non lo ha acquistato». «La presenza ebraica a Catania è stata determinante, un po’ come tutte le comunità che sono passate da questa città», tiene a precisare Salvo Castro del comitato Antico Corso. «Quello che vogliamo fare oggi è mettere in risalto il valore della coesistenza – precisa – una continua stratificazione che troppo spesso viene sottovalutata. Speriamo di far nascere curiosità e meraviglia nei confronti delle strade che ogni giorno calpestiamo».

Carmen Valisano

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