Giornalismo, pubblicisti all’esame di Stato Iacopino: «Non sarà un “tana libera tutti”»

Si chiama «ricongiungimento» e permette ai giornalisti iscritti all’elenco dei pubblicisti entro dicembre 2013 di accedere all’esame di Stato per diventare professionisti. Il documento, approvato il 14 marzo dal consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, assomiglia a una rivoluzione per gli addetti ai lavori del settore dell’informazione. «Ma è una semplice regolarizzazione», precisa Enzo Iacopino, presidente dell’Odg.

Era il 1963 quando l’albo professionale dei giornalisti – che era stato istituito nel 1925 – introduceva una separazione tra due elenchi: l’elenco dei professionisti, riservato a coloro i quali svolgono la professione come unica attività, e l’elenco dei pubblicisti, dedicato a chi fa il giornalista ma anche altri mestieri. «Con gli anni, la regola è rimasta la stessa, ma la situazione è cambiata – continua Iacopino – Adesso bisogna prenderne dolorosamente atto». Perché i pubblicisti nella maggior parte dei casi non sono altro che giornalisti a tempo pieno, che non svolgono altre professioni e che tentano, con molte difficoltà, di arrivare alla fine del mese grazie agli articoli che scrivono. Giornalisti a cui nessuno ha mai fatto un contratto da praticante, per esempio, che dopo 18 mesi di attività giornalistica continuativa in una redazione permette l’accesso all’esame di Stato. «Nel 2011 sono stati fatti solo otto contratti di praticantato in tutt’Italia, otto». Ma se i giornali continuano a uscire e gli articoli continuano a essere scritti, dev’essere che qualcuno quel lavoro ha continuato a svolgerlo, senza tutele contrattuali.

«Il ricongiungimento non prevede che l’albo dei pubblicisti diventi a esaurimento o che chi volesse rimanere pubblicista non possa farlo – puntualizza il presidente del consiglio nazionale dell’Ordine – Semplicemente vuole riconoscere un diritto a chi, in anni di duro lavoro, l’ha già acquisito senza che nessuno glielo dicesse». Le regole sono chiare: potrà richiedere il ricongiungimento entro il 31 dicembre 2016 chi, si legge nel documento ufficiale, «alla data del 31 dicembre 2013, possiede i seguenti requisiti: essere iscritti all’elenco dei pubblicisti; aver esercitato in maniera sistematica ed esclusiva attività giornalistica retribuita per almeno 36 mesi, anche non continuativi, nel quinquennio precedente; presentare la documentazione attestante i rapporti contrattuali esistenti, compresa la documentazione fiscale e contributiva; consegnare una relazione comprovante l’attività svolta; svolgere, all’atto della domanda, attività giornalistica».

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«Non è una sanatoria», puntualizza Enzo Iacopino. E risponde a chi sostiene che sia stata una mossa elettorale – le elezioni per il rinnovo del consiglio nazionale dell’Ordine si terranno a maggio – che avrà come unico risultato quello di riempire il mercato di persone disposte a lavorare per cifre sempre più basse: «Non si tratta di far esplodere il mercato, si tratta di capire che questa gente lavora già. Non entrerà da nessuna parte, perché c’è già dentro, da anni, sono colleghi di tutte le età, migliaia, nei confronti dei quali stiamo tentando di manifestare tutta la nostra apertura». Agli Ordini regionali spetterà il compito di decidere sulle richieste da accettare e su quelle da rifiutare, anche e soprattutto sulla base dei compensi percepiti. «Non si può stabilire una cifra fissa in tutte le regioni d’Italia: da qualche parte è la norma essere pagati due, tre euro al pezzo, in altri posti, invece, il minimo è sui cinque euro, sulla base della conoscenza del territorio i colleghi dei consigli locali valuteranno».

Compensi, comunque, ridicoli: «Sì, lo sono. Ma le uniche denunce che abbiamo ricevuto da parte delle associazioni professionali vengono dal Lazio e dal Friuli Venezia Giulia – afferma Iacopino – Se dovessimo basarci sulle carte a disposizione del consiglio nazionale dell’Ordine, dovremmo credere che in tutto il resto d’Italia la situazione è dignitosa. E sappiamo che non è così». Ma l’Ordine non può agire senza le segnalazioni, «e le segnalazioni dovrebbero farle i comitati di redazione (i sindacati interni ai giornali, ndr), che sono a conoscenza dei pagamenti indecorosi che ricevono i collaboratori e che, a differenza di questi ultimi, sono tutelati fino a due anni dalla scadenza del loro mandato». In altre parole: «Non mi aspetto che un collega che guadagna 300 euro al mese, lavorando come uno schiavo tutti i giorni, denunci il suo direttore, privandosi anche di quei pochi soldi, ma mi aspetto che lo facciano i cdr che, per legge, non possono perdere nulla».

Ma il mondo del giornalismo è variegato. Ci sono, e sono comuni, anche situazioni che rimangono comunque fuori dal «ricongiungimento». Si tratta di chi svolge un’altra professione per integrare i guadagni – evidentemente non lauti – che derivano dall’attività giornalistica. «Non è un “tana libera tutti” – risponde Iacopino – Analizzare tutte le situazioni è complicato: abbiamo fatto la carta di Firenze (in cui si affronta il tema della precarietà nel giornalismo, ndr), abbiamo fatto l’equo compenso, e adesso anche questo. Stiamo lavorando».

[Foto di pandemia]

Luisa Santangelo

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